Questi fantasmi

“(…) Un’organizzazione del lavoro che sempre più, anche stando alla prevalente giurisprudenza, deve scongiurare una prestazione che ecceda la normale tollerabilità, ovverosia svolta secondo orari o turni di lavoro eccessivamente pesanti o senza la fruizione delle pause e dei previsti riposi giornalieri/settimanali/annuali o comunque in condizioni di particolare gravosità (…). Nel caso in cui ciò non si verifichi, il datore di lavoro risponde dei danni che si pongono in correlazione causa-effetto con le disfunzioni organizzative sopra esemplificate”. Così l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) illustra il tenore e le specifiche responsabilità del datore di lavoro nonché le condizioni che inducono molte delle “morti bianche”, ovvero i decessi che avvengono nei contesti lavorativi. C’è da aggiungere che a queste cause sovente si associano anche quelle dovute alla violazione costante delle norme sulla sicurezza sul lavoro, come le protezioni nei cantieri edili e negli opifici ove si svolge, in prevalenza, il “lavoro nero”. Condizioni fin troppo pletoriche e precise quelle legislativa che disciplina la materia, per poter essere ignorate oppure eluse da chi ne ha la responsabilità. Tuttavia viviamo pur sempre in un paese che fa del sommerso uno dei propri punti di forza. Se a questa malsana vocazione di eludere le spese, di ridurre i costi di produzione, ci aggiungiamo quello di voler evitare in parte la tassazione sugli utili d’impresa , voluti da uno Stato gabelliere, ecco che la questione si ingarbuglia fino all’inverosimile. Sia ben chiaro: non esiste giustificazione per comportamenti elusivi delle norme che costano diverse centinaia di vittime tra gli operatori, ma insorge anche qualche corollario che rende comprensibile la necessità dell’imprenditore di doversi sottrarre agli esosi esborsi dovuti al governo. Ci si aggiunga, per buon peso, la modalità di appalto dei pubblici lavori, dei continui arzigogoli burocratici di cui sono lastricate le modalità di aggiudicazioni delle forniture e dei lavori statali, ed ecco che il quadro si fa ancora più complesso. Un esempio di scuola viene dalla modalità introdotta nel codice degli appalti che prevede l’aggiudicazione delle gare secondo il criterio del massimo ribasso sulla base d’asta, anche per cifre di modesta entità di spesa. Di conseguenza diventa lapalissiano come il primo onere che l’imprenditore evita o riduce è proprio quello di approntare completamente la numerosa serie di accorgimenti relativi alla sicurezza. Insomma: un sistema scriteriato che bada solo al risparmio, ovvero al ribasso sul costo di partenza, e non alla qualità dell’opera ed alla sicurezza sul lavoro. Un fatto criminogeno per i piccoli e medi imprenditori. Questi ultimi, infatti, si procurano gli appalti spingendo sulla percentuale di ribasso dell’offerta e successivamente tendono a recuperare quanto più possibile sull’esecuzione dei lavori. Mentre il manufatto o l’opera in se stessa resta a futura memoria l’evasione dei sistemi di sicurezza, una volta consegnata l’opera, non potrà più essere verificata a posteriori. Ecco che la prima tagliola sulle spese riguarderà la perfetta e completa messa a sistema delle regole di sicurezza. Peggio ancora se quell’impresa dovesse operare in regime di semi clandestinità col privato committente, in un contesto di evasione contributiva e salariale che ricorre alla più odiosa delle ingiustizie: lo sfruttamento del bisogno e dell’uomo sull’uomo. Il fenomeno migratorio ha reso spesso disponibile manodopera a basso costo, incentivando il “caporalato” e la tratta delle braccia di quanti vivono nella precarietà se non nella clandestinità. Per quanto alte siano le dichiarate idiosincrasie professate verso i migranti in molte regioni è ancora più alto il gradiente di sfruttamento del loro lavoro e per paradosso intervengono ad incentivarlo i numerosi obblighi posti a carico dell’imprenditore in materia salariale. Onde per cui tra il sublime delle regole di tutela ed il mediocre della loro mancata applicazione, non c’è che un passo. Un divario, un’angusta misura, che fa precipitare un operaio da un’impalcatura, lo rende orbo oppure zoppo per le mancate protezioni, lo intossica mortalmente per la pratica con materiali che presentino nocività (accumulo tossico nel tempo). Insomma se in tutto il mondo oltre venticinque milioni di persone muoiono per colpa del super lavoro e qualche altro milione per il mancato utilizzo delle protezioni, siamo innanzi ad una vera e propria ecatombe. Occorre quindi correggere ed armonizzare tutti i fattori che concorrono a questa strage nonché le diverse normative di tutti gli enti preposti. Non basta inasprire le pene ma rendere le norme applicabili per evitare tutti che lavoratori periscano diventando fantasmi.

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