Ragazzo ucciso a Napoli, i genitori contro “Gomorra”

Dopo l’assassinio del giovane musicista la famiglia punta il dito contro i prodotti televisivi e commerciali che mitizzano i clan. La mamma: trasmissioni che esaltano menti omicide. Il papà: apologia di un mondo violento.

Lo scrittore Roberto Saviano, condannato per plagio nel romanzo "Gomorra", finge di usare una pistola nel corso di una trasmissione televisiva. La sua serie tv accusata di diffondere la cultura della violenza.
Lo scrittore Roberto Saviano, condannato per plagio nel romanzo "Gomorra", finge di usare una pistola nel corso di una trasmissione televisiva. La sua serie tv accusata di diffondere la cultura della violenza.

“Cosa c’è nella vostra testa, zombie, zombie, zombie?”. L’urlo di dolore di Daniela Di Maggio, madre di Giovanbattista Cutolo, nel corso del corteo che ha attraversato le strade di Napoli venerdì scorso, ricorda il testo della canzone dei Cranberries del 1994, Zombie. Quella nella quale la cantante del gruppo rock irlandese Dolores O’Riordan, scomparsa nel 2018, gridava la sua rabbia per la morte di un ragazzino a causa delle tensioni politiche che dilaniavano l’Irlanda del Nord. “Napoli bastarda – ha gridato mamma Daniela al megafono -, se non sei in grado di stare insieme alla Napoli bella, vattene a fanculo. Siete zombie, zombie, zombie. Noi siamo anime. Noi siamo vita. Noi siamo cultura, noi siamo storia”.

La locandina di Gomorra La Serie
La locandina di Gomorra La Serie
La copertina del libro "Gomorra"
La copertina del libro “Gomorra”

La rabbia di Daniela

Il dolore, la rabbia, la frustrazione, tutto ciò che di umano è nella povera madre del musicista ucciso da un 16enne a Napoli senza alcuna ragione, si è rivolto contro la società nel suo complesso, contro un sistema basato solo sul profitto e sul fascino della violenza, sulla mancanza di valori e di bellezza. Contro quel mondo che permette a personaggi come Roberto Saviano di arricchirsi vendendo prodotti (come la fiction “Gomorra – La Serie”, che in questi giorni Sky continua a trasmettere, tratta dall’omonimo romanzo edito dalla Mondadori della famiglia Berlusconi, tra l’altro “macchiato” da una condanna definitiva per plagio LEGGI L’ARTICOLO, il 24 ottobre prossimo davanti alla Corte di Appello di Napoli l’udienza per la quantificazione del risarcimento, LEGGI L’ARTICOLO) in cui la violenza viene presentata come l’unica grammatica possibile nei rapporti interpersonali. In cui la bontà, l’arte, la bellezza, non sono contemplati.

Roberto Saviano e Marina Berlusconi
Roberto Saviano, ospite di “Amici” di Maria De Filippi (© fotogramma della trasmissione Mediaset) e Marina Berlusconi, presidente di Mondadori (© Andrea Raso/LaPresse 23-04-2007 Milano, Italia Economia Assemblea azionisti Mondadori 2007 Nella foto:Marina Berlusconi)

La disperazione di una madre

Giovanbattista Cutolo

Una rappresentazione nella quale la camorra e, in generale, i prepotenti sono gli unici attori in campo e, di conseguenza, non hanno altra alternativa per regolare i conti se non con le pistole, con le bombe, con la minaccia e con la violenza. Non ci sono carabinieri, né poliziotti, né magistrati, né associazioni, né persone che si ribellano ai soprusi, se non per interesse privato e personale.“Si è formata questa bestiale cultura – ha dichiarato mamma Daniela davanti alle telecamere di Fanpage – dell’emulazione di certe trasmissioni che hanno esaltato la mente omicida di questi ragazzi… Si sentono così forti da uscire con un ferro in mano, come lo chiamano loro. E io sono certa che questo ragazzo fosse anche dopato di qualcosa. Droga, armi e il nulla cosmico. Vengono sdoganati solo modelli materialistici di violenza e di insulsaggine. Non ci sono più valori. Non si leggono più libri”.

“I ragazzini dopati”

“Oggi i ragazzini – ha aggiunto parlando con un giornalista di Internapoli – sono tutti dopati. Dopati di televisione, di TikTok, di Youporn. Appena cala la dopamina devono prendersi la questione (litigare, ndr)”. Le fa eco il padre di Giovanbattista, Franco Cutolo, intervistato dal Corriere del Mezzogiorno: “L’apologia di quel mondo violento in cui si crede che finire a Nisida sia un divertimento è un danno gravissimo per queste fasce sociali. Un’epopea del male che si alimenta. Come per Gomorra, diventano modalità vincenti da adottare per chi non ha strumenti culturali per distinguere tra il bene e il male”.

Il commento di Daniele Sepe

Non solo le famiglie della Napoli pulita che non vuole arrendersi alla violenza. Il mondo dell’arte, della musica, della cultura, si sente colpito direttamente dal brutale assassinio di Giovanbattista Cutolo. Uno dei più grandi musicisti della storia della musica napoletana, Daniele Sepe, usa come sempre parole dirette: “Ucciso a pistolettate per futili motivi, ucciso da un sedicenne armato di pistola. Per un parcheggio. Suonava il corno, lo incontravo spesso sotto casa mia. Inaccettabile. Bisognerebbe chiedere a tutti questi sceneggiatori, attori, registi, produttori se con tutte le serie di Gomorriadi con cui hanno subissato la cervella già non sane di due generazioni, chiederei loro, umilmente, se pensano che poi, oltre ai soldi, pensano di aver fatto un buon lavoro. Ve ne dovete comprare tutte medicine, perché non siete esattamente né Don Milani, né Pasolini”.

Magistratura e istituzioni contro la serie: “Prodotto nocivo”

Sul contributo di Roberto Saviano alla diffusione della cultura camorristica e dell’illegalità hanno avuto modo di pronunciarsi autorevoli esponenti delle istituzioni (LEGGI L’ARTICOLO PRECEDENTE).

L’ultimo è stato il generale dei carabinieri Carmelo Burgio, comandante provinciale dell’Arma a Caserta ai tempi della pubblicazione di “Gomorra”: “Il contributo di Saviano contro la camorra? Per quanto riguarda me e i carabinieri dico: non pervenuto”. Ma altri avevano già detto la loro, in particolare sulla fiction “Gomorra – La Serie”.

Catello Maresca, da magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia (fu lui a catturare il boss dei Casalesi Michele Zagaria, dopo 16 anni di latitanza) spese queste parole in un intervento pubblico: “Direi a Saviano che nella terza edizione (della serie tv, ndr) si dovrà pensare anche a rappresentare un personaggio positivo: uno di quelli che combatte contro quell’orrore, altrimenti si fa un cattivo servizio. O almeno scriverei all’inizio, come si fa per le sigarette, nuoce gravemente alla salute”.

Anche Federico Cafiero De Raho, all’epoca capo della procura di Napoli, poi presidente della Direzione Nazionale Antimafia, dichiarò all’Ansa: “In Gomorra vediamo i camorristi che esercitano il potere della camorra e della violenza ma non si vede mai lo Stato che interviene, che reagisce e reprime”.

Netto anche il giudizio del procuratore Antimafia Nicola Gratteri: «Qualche grande personaggio che si definisce intellettuale dice che vogliamo censurare la cultura – dichiarò al giornalista Paolo Conti, del CorSera – Sono preoccupato perché i bambini si nutrono di queste porcherie. Negli ultimi tempi, dagli eroi positivi destinati alla sconfitta si è passati ai boss protagonisti di storie più o meno ispirate a fatti veri. Vediamo un mondo abitato da paranze assetate di sangue, senza margine di redenzione. Alla fine, i personaggi positivi sono uomini di potere, uomini di parola e uomini che sanno imporsi. Ma sempre criminali”.

Giuseppe Borrelli, procuratore aggiunto e capo della Dda di Napoli, non fu meno diretto: “Gomorra è una rappresentazione tranquillizzante, limita la percezione del nostro fenomeno mafioso. La camorra oggi dovrebbe essere rappresentata per quello che è, molto diversa da dieci anni fa. Fornire quella rappresentazione folcloristica è pericoloso”.

Persino Sandro Ruotolo, amico di Saviano, in un incontro tenutosi il 30 maggio del 2019 all’istituto Grimaldi-Pacioli di Catanzaro, pur affermando che “Non chiederò mai la censura di serie televisive poiché se vi è una problematica non è l’autore di un’opera di ingegno a poterla risolvere”, ammetteva: “Certamente spero sempre in autori che ci possano far rivivere, per esempio, fiction come la Piovra, una stagione di teatro civile dove oltre ai cattivi c’era il buono rappresentato dal commissario. Certo, non vinceva sempre il buono, perché magari moriva, però veniva rappresentata una lotta tra bene e male”. Esattamente quello che manca nella fiction Gomorra dove, come nelle logiche dei babykiller, il bene non è un’opzione: o uccidi o vieni ucciso.

Anche Franco Roberti, ex procuratore nazionale Antimafia, in un articolo firmato da Marco De Marco per il Corriere della Sera, affermava che «I ragazzi — spiega — vanno sottratti alla camorra: senza la scuola, senza una cinematografia e una letteratura che propongano modelli migliori dei personaggi di Gomorra, senza una prospettiva di lavoro e senza lo sport che educa alla lealtà e al rispetto delle regole, saranno lasciati sempre soli».

In un intervento riportato da Il Mattino, poi, lo stesso Roberti, pur ammettendo che “la fiction è fatta anche bene dal punto di vista della rappresentazione realistica del fenomeno”, aggiungeva questa considerazione: “Naturalmente ci vorrebbero poi gli strumenti critici per evitare che queste immagini, queste scene, facciano presa in senso emulativo sui giovani”.

Nello stesso articolo si parla delle considerazioni di due sociologi, Valentina Cremonesi e Stefano Cristante i quali, nella raccolta di saggi “La parte cattiva dell’Italia”, scrivono quanto segue: «La serie Gomorra racconta un mondo dove le sole leggi vigenti sono quelle della criminalità: la sopraffazione, la violenza, la morte. In campo non c’è mai una via d’uscita dal sistema camorristico, ma solo la lotta insanguinata, a tratti tribale, tra i vari esponenti del male. Ne emerge una sorta d’involontaria esaltazione dello stile di vita mafioso».

Ma anche delle parole di Giuseppe Montesano, scrittore e docente di Filosofia, il quale aveva detto al quotidiano Il Mattino. «È tempo di smetterla di parlare di film o serie o libri sulla camorra come prodotti neutrali. Ci vorrebbe una rappresentazione mediatica della camorra finalmente libera dalla spettacolarità che serve solo a vendere, e in cui gli aspiranti camorristi si rispecchiano gaudenti ed esaltati». 

Vincenzo De Luca: “Rovinata un’intera generazione”

Una contraddizione talmente inaccettabile che persino la politica si indigna. Il governatore della Campania Vincenzo De Luca, in uno dei suoi interventi video settimanali, punta il dito contro la fiction “Gomorra – La Serie” e i suoi modelli maledetti. “È devastante – afferma – l’effetto diseducativo di alcune trasmissioni televisive che riguardavano il fenomeno della camorra. Abbiamo un’intera generazione che si veste come quelli che hanno visto nei telefilm, che parla come i protagonisti degli sceneggiati, che hanno gli stessi tatuaggi, lo stesso linguaggio gergale”. Un esempio negativo di cui si è già scritto e detto parecchio. Su Internet è ancora virale il video di quei ragazzini che, imitando uno degli agguati “immortalati” nella fiction ideata da Roberto Saviano, simulano un raid mortale spianando pistole giocattolo. Ma ormai l’emergenza è sotto gli occhi di tutti. Le frasi rese celebri dai protagonisti della serie sono entrate a pieno titolo nel gergo delle nuove generazioni. “Ce arripigliammo tutto chello che è nuosto”, “l’ommo che po’ fa a meno e tutte cose nun tene paura ’e niente”, “ddoje fritture”, “biv’, aggia vede si me pozzo fida’ ’e te” e via discorrendo sono finite su magliette, cover dei telefonini e gadget dei giovanissimi (LEGGI L’ARTICOLO PRECEDENTE).

Don Tonino Palmese: “Pessimo esempio”

Negativo anche il giudizio di un’icona della lotta alla camorra come don Tonino Palmese, presidente della fondazione Polis e già referente regionale in Campania di Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, che nel corso della trasmissione l'”Aria che tira” su La7, invitato da Myrta Merlino già nel 2018 a parlare sul tema della “Emergenza baby gang a Napoli”, parlò della fiction come di un “pessimo esempio”, e non solo per le nuove generazioni (VEDI LA PUNTATA DE L’ARIA CHE TIRA).

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