Conviene rispettare le regole, in tempi di Coronavirus, per evitare di essere denunziati e di subire un processo penale le cui pene non sono uno scherzo. Chi viola la quarantena rischia fino a 3 mesi di carcere o 206 euro di multa. Lo prevede la direttiva inviata dal Viminale ai Prefetti nella quale è prevista in via generale la violazione dell’articolo 650 del codice penale (inosservanza di un provvedimento di un’autorità) salvo che non si configuri un’ipotesi più grave, quale quella prevista dall’articolo 452 del codice penale (delitti colposi contro la salute pubblica, che punisce tutte le condotte idonee a cagionare un pericolo per la salute pubblica). La nostra attenzione, oltre che sull’articolo 65O del codice penale, si deve soffermare sui reati di epidemia dolosa (articolo 438 c.p.) e di epidemia colposa (articolo 452 c.p.).
Alcuni magistrati inquirenti stanno già indagando sulle procedure adottate per prevenire il contagio da “Coronavirus” in alcuni ospedali.
L’ipotesi di reato è quella di epidemia colposa. Vi incorre, ad esempio, colui che, consapevole di aver contratto questo virus, continui a circolare liberamente diffondendo la malattia per negligenza o imprudenza, senza osservare le disposizioni precauzionali imposte dal Dpcm.
Ora soffermiamoci su un’altra figura di reato, quella di epidemia dolosa.
In buona sostanza, il legislatore mira a evitare che una malattia infettiva, che abbia già colpito un certo numero di persone, possa estendersi e colpire altri cittadini, in modo da mettere in pericolo la sicurezza della salute della comunità.
Sappiamo che la salute pubblica è un bene indubbiamente tutelato e costituzionalmente protetto.
Si tratta, dunque, di un reato di danno per la salute pubblica e il pericolo per essa costituisce un suo effetto eventuale in relazione all’ulteriore capacità diffusiva dell’epidemia.
È il pericolo per la pubblica incolumità, connesso alla diffusività del male, che caratterizza il delitto di epidemia. Se l’epidemia richiede la diffusività della malattia, senza tale pericolo non vi è epidemia.
In definitiva, affinché il delitto punito dall’articolo 438 c.p. possa ritenersi configurato occorre che la condotta del reato di epidemia, consistente nella diffusione dì germi patogeni, cagioni la manifestazione collettiva di una malattia infettiva umana che si diffonde rapidamente in uno stesso contesto di tempo in un dato territorio, colpendo un rilevante numero di persone. E’ un reato di evento a forma vincolata, in quanto il soggetto deve cagionare l’evento dell’epidemia mediante il particolare comportamento consistente nella diffusione di germi patogeni.
Deve ritenersi, che, a questo fine, non sia necessario che il soggetto agente e i germi siano delle entità separate, ben potendo aversi epidemia quanto l’agente sia esso stesso il vettore dei germi patogeni. Ciò significa che commette il reato anche colui il quale, consapevole di aver contratto un virus, continui a circolare liberamente, diffondendo la malattia.