Referendum cannabis e boom di firme digitali, Flick: “Così può cambiare davvero il volto del Paese, ma serve equilibrio”

Il giurista Giovanni Maria Flick commenta il boom di firme raccolte in poche ore per il referendum sulla depenalizzazione della cannabis: la facilità di adesione può favorire quelle riforme che la politica si rifiuta di fare, "ma serve equilibrio tra popolo e parlamento"

ROMA – “Nel dialogo tra popolo e Parlamento il primo sta prendendo consapevolezza della propria forza e della possibilità di farsi ascoltare”. Così, intervistato da Repubblica, il giurista Giovanni Maria Flick commenta il boom della raccolta firme per un referendum sulla cannabis. “Evidentemente – sottolinea – l’argomento del referendum, le discussioni precedenti e annose sul tema, hanno influito sull’esplosione di consensi che non credo possa imputarsi soltanto, se non in parte, alle facilitazioni della raccolta e autenticazione delle firme”.

Vale infatti la firma digitale, ma Flick spiega che “la procedura del banchetto è stata allargata anch’essa aggiungendo la possibilità di firmare davanti a un avvocato, oltreché davanti a notai, cancellieri e segretari comunali. E poi, con una procedura un po’ più complicata, si può accedere a una piattaforma digitale della pubblica amministrazione e in quella sede inviare la propria adesione con una firma digitale”.

Sull’ipotesi, quindi, di alzare l’attuale quorum di 500mila firme, Flick risponde: “Probabilmente sì anche perché quel quorum è stato fissato nel 1947 quando la popolazione italiana era molto inferiore a quella attuale. Il problema è politico e la politica deve risolverlo in un contesto che valorizzi la voce del popolo, ma non delegittimi il Parlamento”.

Con l’eventualità di diversi referendum in primavera, si potrebbe “cambiare in buona parte il volto del Paese: quello che molti, se non quasi tutti, domandano. D’altra parte – aggiunge Flick – la Costituzione fissa i paletti oltre i quali non si può andare: leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di ratifica di trattati internazionali. Mi pare però che l’inerzia del Parlamento non possa semplicisticamente arrivare a svuotare le Camere stesse. Occorre trovare un punto di equilibrio che si fondi sulla democrazia rappresentativa”.

“Ma – conclude il giurista – non c’è dubbio che troppe volte il Parlamento ha eluso problemi drammatici sui quali l’opinione pubblica è lacerata in posizioni contrapposte. E occorre perciò una mediazione equilibrata, pensi ad esempio al sovraffollamento delle carceri e alle sue conseguenze di cui si continua soltanto a parlare”.

(LaPresse)

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