Referendum, c’è chi dice no

L'intervento di Marco Plutino

Il 29 marzo gli elettori italiani saranno chiamati, salvo rinvio necessitato dal “coronavirus”, a votare per il quarto referendum costituzionale della storia della Repubblica. Sarà loro chiesto molto semplicemente se vorranno ridurre il numero di parlamentari: da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. Se voteranno Sì accadrà, se voteranno No, non accadrà. Quesito semplice e accattivante. Perchè non sforbiciare il Parlamento? Cosa cambierebbe in fondo col 36,5% dei parlamentari in meno?

C’è chi dice No. Perfino di questi tempi. Cercherò di esporre nel modo più semplice possibile il senso di questo voto. Il maggiore problema della revisione in questione consiste nel ridurre il numero dei parlamentari senza toccare le funzioni del parlamento. In nessun paese civile sarebbe immaginabile una cosa simile. Ed è la prima volta che ci si prova anche qui. Da quarant’anni tutti i tentativi riformatori (nessuno escluso), tutti i costituzionalisti e in modo pressante anche la Corte costituzionale che trascorre buona parte del suo tempo di lavoro a dirimere conflitti tra Stato e regioni affermano all’unisono che la cosa più importante da fare, ed anche urgente, è superare la circostanza che il Senato e la Camera fanno le stesse cose e sono uno doppione dell’altro. Anche il mutamento di una virgola ad un testo comporta che vada all’altro. Così prevede la Costituzione. Qualcosa che si giustificava (a malapena) nel clima della guerra fredda ma che è almeno da quarant’anni privo di giustificazione. Con effetti pesanti sul rendimento delle nostre istituzioni e con una marginalizzazione del parlamento rispetto alle scelte politiche maggiore di quanto avverrebbe anche in conseguenza di altri fattore. Allora torniamo al quesito. Perchè No? Perchè non solo la revisione che saremo chiamati a valutare non cambierebbe questo difetto fondamentale ma chiunque può rendersi conto che se si riesce a mettere mano alla composizione del Senato dopo quasi sessant’anni dall’ultima revisione (1963) i senatori in futuro non vorranno più farsi riformare chissà per quanti anni.

E’ fondamentale avere invece una camera che rappresenti i territori, per far funzionare meglio sia il regionalismo che la nostra dialettica governo-parlamento. Tutti i paesi bicamerali hanno assemblea con funzioni diverse. Dunque quella sottoposta agli elettori si tratta di una riforma inutile e sbagliata, nata per assecondare umori demagogici e con intenti punitivi. Ma punendo il parlamento, anzichè riqualificandolo, il cittadino punisce se stesso. Sono almeno diciannove anni, dalla riforma del Titolo V che ha rinforzato le regioni, che attendiamo che il Senato diventi la sede degli interessi territoriali al centro. Questa revisione, nel confermare due camere-doppione, ci allontana dal sentiero giusto per un piatto di lenticchie: lo 0,007% della spesa pubblica, secondo le stime dell’Ossservatorio di Cottarelli. Gli effetti non sarebbero da poco. Con la riduzione del numero dei parlamentari a parità di funzioni si allenterebbe ulteriormente il loro rapporto con il territorio, con i cittadini, e gli eletti sarebbero più facilmente espressione delle oligarchie partitiche.

Inoltre si produrrebbero disfunzioni specifiche all’attività del parlamento su cui non è il caso di dilungarsi. La riduzione dei parlamentari, vista come misura inerente ai “costi della politica”, sarebbe il punto più basso di questo trentennio disgraziato che va sotto il nome di “Seconda Repubblica”. Il Parlamento non è una municipalizzata inutile. Ci condanneremmo sempre di più ad un declino del paese che del resto va avanti da tempo. Ci allontaneremmo dai modelli di democrazia parlamentare consolidati, con danno per i cittadini, confermando le nostre anomalie. In sintesi queste mi sembrano le ragioni, sinteticamente esposte, per andare a votare (visto che il referendum sarà comunque valido in ogni caso) e votare convintamente No.

di Marco Plutino, costituzionalista e portavoce nazionale del comitato ‘Democratici per il No’

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