Regionali, il buco al centro

Si sono appena concluse le elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia. In entrambe con il successo del partito di Giorgia Meloni. I compagni di strada della leader di FdI hanno, più o meno, confermato la débâcle già registrata alle Politiche con Forza Italia che le ha prese di santa ragione in quella che un tempo era la vecchia roccaforte del Cavaliere, arenandosi ad un misero 7% in Lombardia. Non è andata meglio ai leghisti che si sono fermati al 16 percento nel cuore della loro beneamata Padania, ben lontani, dunque, da Fratelli d’Italia (25%) e dallo stesso Pd (21%). Sempre in Lombardia, sul fronte opposto del centrosinistra, se i dem hanno mostrato di “tenere”, more solito, si sono rivelati scarsissimi i consensi raccolti dalla sinistra antagonista (in unione con i Verdi). E ridotti al minimo storico sono apparsi anche i Cinque Stelle che a quelle latitudini non hanno evidentemente potuto fare molto leva sulla gratitudine dei beneficiari del reddito di cittadinanza.

Scarso anche il risultato riscosso dal Terzo Polo di Renzi e Calenda che non ha raggiunto il 5%, superato finanche dalla lista della candidata presidente Letizia Moratti. Ai decimali, infine, gli schieramenti degli ex democristiane che ormai sono poco meno che cespugli. Nel Lazio lo scenario è risultato pressoché identico per i protagonisti sopra menzionati che hanno lamentato una forbice ancora più alta tra Fratelli d’Italia e il resto della concorrenza. Anche in questo caso, nel centrodestra, il risultato di Lega e Forza Italia sono stati piuttosto carenti. Salviniani e Berlusconiani, messi assieme, hanno totalizzato infatti la metà dei voti riscossi dal partito della presidente del Consiglio. Anche qui si sono notati numeri da prefisso telefonico per i fantomatici eredi dello scudo crociato, capeggiati dagli eterni soliti noti. Male M5S e Azione di Calenda e Renzi che hanno girato ben al di sotto delle percentuali delle ultime Politiche. Nel centrosinistra laziale si è registrata la sonora battuta d’arresto del Pd che si è fermato alla metà dei voti di FdI, ancorché a largo del Nazareno ci si sia consolati con il raffronto dei risultati delle ultime Politiche. Insomma per Letta e compagni meglio i monocoli nella terra dei ciechi!! Si sono infine confermati sempre asfittici i consensi di Sinistra e Verdi. Ora, a voler trarre una sintesi, di prima mano, in base ai risultati, si dovrebbe dire che oggi il vero partito moderato è quello della Meloni, capace di andare oltre i confini del voto di Destra. Una capacità attrattiva che nel centrodestra era appartenuta, per lungo tempo, al partito del Cavaliere e per un breve periodo al progetto del “Capitano Salvini”.

Insomma, a chiamare vittoria della Destra quella della leader di FdI si farebbe torto a tantissimi elettori moderati che si sono ancora una volta riconosciuti nella leadership di Giorgia. L’onda del consenso è ancora lunga per la “pasionaria romana” perché l’osmosi del voto di centro si è indirizzata verso il suo partito, svuotando l’ormai ondivaga, anacronistica e senile offerta politica di Silvio Berlusconi. Parimenti ridimensionate appaiono le illusioni e le pretese di Salvini di trasformarsi in leader di caratura nazionale. Sempre al centro, appaiono insignificanti i risultati dei piccoli partiti che si sono spartiti le vesti ed il simbolo della balena bianca: logori ed inespressivi, ombre inconsistenti se non per la furbizia di taluni politici d’antan abili nell’assicurarsi poltrone per se stessi ed i propri cari. Anche nel Lazio non ha trovato fortuna il Terzo Polo e c’è da ritenere che l’abbraccio con l’inviso Matteo Renzi si sia trasformato in una sorta di camicia di Nesso per il flemmatico Carlo Calenda.

Quest’ultimo, non a caso, ha abbassato il gradiente di spocchiosa superiorità inviando un messaggio a tutte le forze che si riconoscono in un centro moderato e liberale. Una buona intenzione, va detto, se non fosse però che l’attuale socio di Calenda rifiutò sdegnosamente questa prospettiva, subito dopo il referendum costituzionale, quando gli si chiese di dar vita al Partito della Nazione, preferendo il piccolo cabotaggio di accontentarsi di un pugno di seggi nell’allora Pd (di cui era segretario). Insomma: siamo al cospetto dell’eterna tentazione di costruire una forza di centro di stampo liberale e riformista che possa dare agli elettori moderati che disertano le urne ed a quei pochi che le praticano, una prospettiva gradita e coerente. Ottima proposta certo, ma ormai…fuori tempo massimo!! D’accordo. Tutto si può ricostruire in politica se ne sussistono le condizioni e credo che per quella prospettiva riformista e liberale debbano innanzitutto cambiare taluni proponenti. Mino Martinazzoli, ultimo segretario della Dc, a chi gli chiedeva di realizzare il rilancio del partito dopo le devastazioni di Tangentopoli rispondeva: “per fare quello che chiedete occorre che qualcuno dia una mano e che altri invece le tolgano”. Insomma non servono uomini sbiaditi e con percorsi politici contraddittori e non serve realizzare cordate di vertice senza partire da un semplice e comprensibile “Manifesto dei Valori” che crei una precisa e comune identità. Senza di questo saranno solo buoni propositi, dei quali, fino a prova contraria, è lastricato l’inferno.

*già parlamentare
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