Mangiare ostriche aiuta l’ambiente

NAPOLI – Mangiare ostriche e aiutare il pianeta. Questi molluschi sono uno strumento eccellente per la lotta al cambiamento climatico e la conferma da uno studio tutto italiano condotto dal Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Prevenzione dell’Università di Ferrara, pubblicato sulla rivista scientifica “Science of The Total Environment”. Il gruppo di ricercatori si è concentrato su Goro, un polo di eccellenza nazionale per la produzione di questi molluschi. L’analisi ha certificato a livello mondiale la capacità delle ostriche di catturare anidride carbonic attraverso il loro guscio, che costituisce circa il 60-70% del peso, formato per il 98% da carbonato di calcio. Le ostriche ‘bloccano’ la molecola di CO2 biocalcificata, rimuovendola dall’ecosistema marino nel momento in cui vengono pescate. Di fatto intrappolano l’anidride carbonica in eccesso per poi non rilasciarla più.


Secondo lo studio dell’Ateneo ferrarese un chilo di ostriche (circa 10-12 pezzi) contiene 630 di guscio ed è in grado di sottrarre all’ambiente 275,8 grammi di anidride carbonica. Considerato che, stando alle stime globali, nel 2020 nel mondo sono state prodotte circa 6 milioni di tonnellate di ostriche in oltre 40 paesi, grazie alla produzione sono state abbattute 1,7 milione di tonnellate di anidride carbonica. L’ostricoltura è un sistema di produzione efficiente e a basso impatto ambientale in termini di emissioni di CO2. L’allevamento di molluschi in generale, quindi anche cozze e vongole, potrebbe svolgere un ruolo attivo in termini di sequestro di carbonio e mitigazione degli impatti dei cambiamenti climatici.


Ma ci sono anche aspetti negativi. Cozze, ostriche e capesante hanno i più alti livelli di contaminazione da microplastiche tra i frutti di mare. Lo rivela uno studio condotto dalla Hull York Medical School, ateneo nel Regno Unito. La ricerca ha esaminato più di 50 studi tra il 2014 e il 2020 per indagare sui livelli di contaminazione da microplastiche a livello globale nei pesci e nei crostacei. Gli scienziati stanno ancora cercando di capire le implicazioni sulla salute per gli esseri umani che consumano pesce e crostacei contaminati da queste minuscole particelle di plastica di scarto, che si insinuano nei corsi d’acqua e negli oceani attraverso la cattiva gestione dei rifiuti. Lo studio mostra che il contenuto è nel range 0-10,5 microplastiche per grammo (MPs/g) nei molluschi, 0,1-8,6 MPs/g nei crostacei, 0-2,9 MPs/g nel pesce. Gli ultimi dati relativi al consumo presenti nell ricerca mostrano poi che Cina, Australia, Canada, Giappone e Stati Uniti sono tra i maggiori consumatori mondiali di molluschi, seguiti a ruota da Europa e Regno Unito. Quelli raccolti al largo delle coste asiatiche sono risultati essere quelli più contaminati, con i ricercatori che suggeriscono che queste aree sono più pesantemente inquinate dalla plastica.

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