Per introdurre l’argomento occorre fare un prologo di carattere storico, per ricordare, al lettore distratto, la storia dell’eremita Pietro Angelerio, meglio noto come Pietro da Morrone, assurto al soglio pontificio con il nome di Papa Celestino V nel 1294, al termine del conclave di Perugia. Quel pontefice è passato alla storia per la citazione che di lui fece Dante Alighieri nella Divina Commedia. Il Sommo poeta collocò infatti Celestino nel girone degli ignavi, definendolo colui che per “viltà fece il gran rifiuto”. Erano quelli i tempi bui del Papato, dilaniato dalle lotte interne per il possesso del grande potere politico che apparteneva alla chiesa di Roma. Il successore di Pietro veniva scelto sulla base del prevalere di una fazione sull’altra, secondo vicende che poco avevano a che fare con il ministero ecclesiale. Morrone, pressato da varie parti, alle quali necessitava una tregua e quindi un cosiddetto “Papa di transizione”, prima accettò, suo mal grado, l’investitura papale, poi rinunciò al soglio. Troppo lontani dalla vita di un eremita i fastosi cerimoniali, estranee le trame della curia pontificia, i nepotismi, le alleanze con questo o quel regnante e le pratiche politiche. Insomma, per ironia della sorte: al povero don Pietro toccò anche passare alla storia come un ignavo per mano dell’Alighieri senza alcuna considerazione per un animo semplice e religioso che aveva semplicemente voluto distinguersi dai tempi corrotti. In queste ore le agenzie hanno battuto la notizia che il cavalier Berlusconi ha offerto a Matteo Renzi, leader di Italia Viva e già premier nella XVII legislatura, di entrare nell’alleanza di centrodestra. Matteo, come Celestino, ha pronunciato il “gran rifiuto”: no, grazie. Corro da solo. A ben vedere non si tratta di (presunta) ignavia come nel caso del celebre eremita, ma di uno dei rari atti di coerenza che si sono registrati finora in questo caravanserraglio a cui si è ridotta la politica di casa nostra. Intendiamoci: il giovanotto di Rignano è scaltro e si districa benissimo in quel gioco dell’oca che è diventata la politica di casa nostra. Il fondatore di Forza Italia, stizzito ed immemore del patto del Nazareno che pure lo resuscitò dopo l’infausta cacciata dal Senato, ha reagito con toni durissimi: “Renzi è un abile giocatore, forse il migliore, nei giochi politici, ma conta poco (elettoralmente) nel Paese”. Segno evidente che il rifiuto ha scompigliato i calcoli del Cavaliere che, nei tempi del fulgore renziano, ebbe a dichiarare che in FI uno come il “rottamatore” avrebbe potuto ben aspirare ad un ruolo di vertice. Intendiamoci: inglobare Renzi e la frazione di voti che questi rappresenta e, più ancora, far accostare un politico di quello stampo alle proprie sponde, avrebbe rappresentato un’operazione non da poco. Tuttavia, proprio perché sveglio, Renzi ben sa che la parabola di Berlusconi sta volgendo al termine e che tra Meloni e Salvini avrebbe finito per fare il comprimario in caso di vittoria. C’è poi da considerare il fatto che il leader di Iv porta con sé una larga scia di antipatie e più ancora di conti da saldare con tanta, troppa gente. Insomma è uno che ha fatto molti anticorpi e suscitato eccessive contrarietà ben oltre i propri difetti e gli errori. Un prezzo che pagano, ovunque, quelli che sono intelligenti e prensili in contesti come la politica dove, per dirla con Ignazio Silone, sono molte le galline che pensano di poter spiccare il volo. Il gesto di correre da soli è un atto coraggioso e va apprezzato e segnalato, ancorché espressione di una tardiva resipiscenza dell’ex sindaco di Firenze. Questi commise un fondamentale errore allorquando rinunciò ad aggregare i riformatori italiani, che pure gli avevano concesso oltre il 40 percento dei consensi sul referendum costituzionale, ai tempi in cui egli era in auge. Il resto è venuto dall’autolesionismo, sotto forma di spavalderia e di sussiego, accomunato ad una diffusa idiosincrasia procurata da quegli stessi difetti. Un ostracismo che forse è stato alimentato dalla delusione, oltre che dall’invidia, di quanti lo avevano visto come colui che avrebbe potuto dare all’Italia una nuova speranza politica. Comunque sia stato, Renzi ha pagato ritardi ed albagia politica oltre i suoi vezzi e manchevolezze. Eppure, come Sisifo, aveva rubato il fuoco agli dei post comunisti e post catto comunisti del Pd, riuscendo in un’operazione straordinaria. Mai si era visto in Parlamento un segretario dem e primo ministro aprire il proprio partito (ed il governo stesso) al popolarismo liberale, citando Emanuel Mounier e Jacques Maritain, esponenti del cattolicesimo politicamente impegnato di Francia. Purtroppo lo diceva con una mano nella tasca dei jeans che indossava, profetizzando la chiusura di Palazzo Madama. Questo è l’uomo con i suoi difetti ed i suoi pregi, troppo avanti per un popolo di ritardatari ed una classe politica di ignoranti, troppo intelligente e troppo astuto per essere un Celestino V.