ROMA – Avvocato 44enne, appassionato di yoga, Marcello De Vito è presidente dell’assemblea capitolina dal luglio del 2016, poco dopo l’elezione della sindaca Virginia Raggi.
Il primo presidente pentastellato della storia dell’Aula Giulio Cesare è salito la prima volta agli onori delle cronache politiche capitoline nel 2013 come candidato sindaco per il Movimento 5 Stelle nelle elezioni vinte da Ignazio Marino.
Gli anni tra il 2013 e il 2015 li ha passati tra i banchi dell’opposizione in assemblea capitolina, da capogruppo della piccola formazione pentastellata. Erano in 4, e tra di loro c’era la futura sindaca, il futuro assessore Daniele Frongia ed Enrico Stefano.
Le primarie per la scelta del candidato M5S alle elezioni comunali del 2016 rompono i buoni rapporti tra i quattro. De Vito viene messo da parte, in un dossier diffuso dai suoi ex amici. E’ accusato di aver compiuto “una serie di atti contrari alla buona amministrazione e un reato”. L’indagine diventa un esposto che però non porta a nulla, e a lui resta il rammarico del taglio in modo scorretto.
Nel 2013, scriveva di aver deciso di scendere in politica per la figlia, “per darle un futuro diverso e migliore; a lei come pure a tutti gli altri giovani, a cui questi politici inetti hanno rubato anche i sogni”.
Politica non ne aveva mai fatta prima, e racconta di esser entrato nel Movimento sette anni fa: “Il giorno della mia ‘svolta’ fu il 25.4.2012, giorno della liberazione – scriveva nel 2013. Ma anche giorno in cui il nostro presidente della Repubblica riuscì ad affermare che ‘non è possibile fare a meno dei partiti e che bisogna fare attenzione ai sentimenti di “antipolitica’. Mica è facile violare così tanti principi costituzionali con così poche parole! Grillo si infuriò, ma quella frase scosse profondamente, e finalmente, anche me”.
A quei tempi citava spesso Ghandi: “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono…poi vinci”.
La vittoria del 2016 per lui non è stata piena. C’era ancora un po’ di rabbia a pensare a quel posto di sindaco sfuggito per colpa di un falso dossier.
E meno di tre anni dopo una vittoria un po’ amara, finisce in carcere per presunte corruzioni sulle autorizzazioni per immobili legati al progetto dello Stadio della Roma.
(LaPresse)