Quello del 2022 rischia di essere il primo San Valentino senza fiori italiani a causa del boom dei costi energetici con rincari fino al 50% per il riscaldamento delle serre che hanno messo in ginocchio i vivai nazionali. A lanciare l’allarme è la Coldiretti con il caro bollette che colpisce il settore proprio in vista della festa degli innamorati, attesa come occasione di rilancio dopo il calo dei consumi provocato dalla pandemia.
“L’emergenza energetica si riversa infatti – sottolinea Coldiretti – non solo sui costi di riscaldamento delle serre, ma anche su carburanti per la movimentazione dei macchinari, sui costi delle materie prime, fertilizzanti, vasi e cartoni. Il rincaro dell’energia – continua la Coldiretti – non risparmia fattori fondamentali di produzione come i fertilizzanti con aumenti che vanno dall’urea passata da 350 euro a 850 euro a tonnellata (+143%) alle torbe con un +20% mentre per gli imballaggi gli incrementi colpiscono dalla plastica per i vasetti (+72%) dei fiori al vetro (+40%) fino alla carta (+31%) per i quali peraltro si allungano anche i tempi di consegna, in qualche caso addirittura quintuplicati”.
Serre e produzione
E se in altri settori si cerca di concentrare le operazioni colturali nelle ore di minor costo dell’energia elettrica, come rileva Coldiretti, le imprese florovivaistiche non possono interrompere le attività pena la morte delle piante o la mancata fioritura. Le rose ad esempio hanno bisogno di una temperatura fissa di almeno 15 gradi per fiorire e lo stesso vale per le gerbere, mentre per le orchidee servono almeno 20-22 gradi per fiorire ed in assenza di riscaldamento muoiono. E chi non riesce e far fronte agli aumenti è così costretto a spegnere le serre e cercare di riconvertire la produzione.
Un trend da 2,57 milioni
Un trend che pesa gravemente su un settore cardine per l’economia agricola nazionale che vale oltre 2,57 miliardi di euro, generati da 27mila aziende florovivaistiche attive in Italia, con un indotto complessivo di 200mila occupati, secondo Coldiretti.
La scomparsa dei fiori italiani dai mercati rischia peraltro di favorire le importazioni da Paesi stranieri che nel 2021 hanno già fatto registrare un aumento del 20% in valore, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat relativi ai primi dieci mesi dell’anno. Spesso si tratta di prodotti ottenuti dallo sfruttamento come nel caso delle rose dal Kenya per il lavoro sottopagato e senza diritti e i fiori dalla Colombia dove ad essere penalizzate sono le donne.
Made in Italy da sostenere
“Da qui l’importanza di preferire in un momento difficile per l’economia nazionale le produzioni Made in Italy – conclude la Coldiretti – scegliendo l’acquisto di fiori tricolori, direttamente dai produttori o da punti vendita che ne garantiscano l’origine, per sostenere le imprese, l’occupazione e il territorio”.
A rischio lilium, ranuncolo e ciclamino
L’aumento record dei costi energetici mette a rischio il futuro di alcune delle produzioni più tipiche del florovivaismo nazionale come tra gli altri il ciclamino, il lilium o il ranuncolo. E se in altri settori si cerca di concentrare le operazioni colturali nelle ore di minor costo dell’energia elettrica, come rilevato da Coldiretti, le imprese florovivaistiche non possono interrompere le attività pena la morte delle piante o la mancata fioritura. Le rose ad esempio hanno bisogno di una temperatura fissa di almeno 15 gradi per fiorire e lo stesso vale per le gerbere, mentre per le orchidee servono almeno 20-22 gradi per fiorire ed in assenza di riscaldamento muoiono.
In aumento anche gli imballaggi e i vasetti
“L’aumento dei costi – continua la Coldiretti – riguarda anche l’alimentazione del bestiame e i costi di produzione come quello per gli imballaggi, dalla plastica (+72%) per i vasetti dei fiori alla banda stagnata per i barattoli (+60%), dal vetro (+40%) per i vasetti fino alla carta (+31%) per le etichette dei prodotti che incidono su diverse filiere, dalle confezioni di latte, alle bottiglie per olio, succhi e passate, alle retine per gli agrumi ai barattoli smaltati per i legumi. Su questo scenario pesa il deficit logistico italiano per la carenza o la totale assenza di infrastrutture per il trasporto merci, che costa al nostro Paese oltre 13 miliardi di euro, con un gap che penalizza il sistema economico nazionale rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea. In Italia il costo medio chilometrico per le merci del trasporto pesante è pari a 1,12 €/km, più alto di nazioni come la Francia (1.08 €/km) e la Germania (1.04 €/ km), ma addirittura doppio se si considerano le realtà dell’Europa dell’Est: in Lettonia il costo dell’autotrasporto è di 0,60 €/km, in Romania 0.64 €/km; in Lituania 0,65 €/km, in Polonia 0.70 €/km secondo l’analisi di Coldiretti su dati del Centro Studi Divulga”.
Petrolio vertiginoso
“L’aumento medio nell’ultimo un anno del +67% del prezzo medio del gasolio sta affondando la flotta nazionale costretta a navigare in perdita o a tagliare le uscite secondo Impresapesca Coldiretti che sottolinea come fino ad oltre la metà dei costi che le aziende ittiche devono sostenere è rappresentata proprio dal carburante. Con gli attuali ricavi la maggior parte delle imprese di pesca – spiega Impresapesca Coldiretti – non riesce a coprire nemmeno i costi energetici oltre alle altre voci che gli armatori devono sostenere per la normale attività. Senza adeguate ed urgenti misure per calmierare il costo del carburante le imbarcazioni sono costrette a pescare in perdita se non addirittura a restare in banchina con gravi ripercussioni sulla filiera e sull’occupazione per un settore che – sottolinea la Coldiretti – conta complessivamente 12mila imprese e 28mila lavoratori, con un vasto indotto collegato”.