Sanitari aggrediti, Campania maglia nera

CASERTA – La violenza contro gli operatori sanitari rappresenta una piaga che continua a dilagare in Italia, come evidenziano i dati forniti da Amsi (Associazione Medici di Origine Straniera in Italia), Umem (Unione Medica Euromediterranea) e il Movimento Internazionale Uniti per Unire. Con un incremento delle aggressioni del 33 per cento rispetto al 2023, il problema assume contorni sempre più preoccupanti. In Italia, il Nord risulta l’area più colpita (63 per cento), seguito dal Sud (26 per cento) e dal Centro (11 per cento). Le regioni più colpite sono Lombardia (+25 per cento), Campania (+22 per cento), Puglia (+20 per cento), Lazio (+19 per cento) e Sicilia (+18 per cento).

“Le aggressioni al personale sanitario sono una ferita aperta per il nostro Paese. E’ essenziale adottare misure immediate per garantire sicurezza e dignità agli operatori, nonché un accesso più rapido e organizzato alle cure per i pazienti” ha dichiarato il Prof. Foad Aodi, presidente di Amsi, Umem e del Movimento Uniti per Unire. Secondo Aodi, questa crisi è alimentata da fattori quali: sovraffollamento dei pronto soccorso,
liste d’attesa interminabili, carenza cronica di personale sanitario debolezza della sanità territoriale. Queste criticità generano frustrazione nei cittadini, che spesso sfocia in violenze contro il personale medico e paramedico. Le vittime principali sono donne (73 per cento), con infermieri e fisioterapisti tra le categorie più colpite. A livello internazionale, il fenomeno è altrettanto grave, con aumenti del 32 per cento in Europa e del 39 per cento nel mondo. “Molti Paesi, come gli Stati Uniti (+40 per cento) e il Regno Unito (+35 per cento), stanno affrontando una crisi simile, mentre in Medio Oriente e Africa la situazione è ancora più drammatica” ha aggiunto Aodi. Per affrontare questa emergenza, il professor Aodi e le organizzazioni che rappresenta hanno avanzato una serie di proposte concrete.

Tra queste la creazione di ambulatori per gestire i casi meno urgenti in prossimità dei pronto soccorsi o all’interno delle Asl e il rafforzamento della collaborazione tra ospedali e medici di base per ridurre il carico delle strutture ospedaliere. “Un modello efficace è stato già sperimentato presso l’ospedale Pertini di Roma, dove la sinergia tra medici Amsi e medici di famiglia ha migliorato la gestione dei casi meno urgenti” ha ricordato Aodi. Richiesto anche il potenziamento del personale e miglioramento dell’organizzazione dei servizi, l’introduzione di leggi più severe contro gli aggressori, la creazione di punti di soccorso nei comuni distanti dai principali ospedali, come già avvenuto a Santa Severa grazie alla collaborazione tra Asl Roma 4, Croce Rossa e Amsi.

Aodi ha inoltre evidenziato un problema sempre più pressante: la fuga dei cervelli nel settore medico. “Molti Paesi stanno imponendo limiti all’uscita dei medici per arginare la carenza di personale, ma questo crea deserti sanitari internazionali e peggiora la situazione in Europa” ha spiegato. Le leggi attuali, ha sottolineato Aodi, non tutelano adeguatamente i professionisti sanitari, nonostante il sacrificio dimostrato durante la pandemia. “Il personale sanitario non può più essere lasciato solo. Serve un impegno serio e condiviso per invertire questa tendenza e restituire dignità al nostro sistema sanitario”.
“E’ necessario un intervento urgente e strutturale. Le istituzioni devono lavorare a stretto contatto con medici e cittadini per creare un sistema sanitario più sicuro, accessibile ed efficiente” ha concluso Aodi. La lotta contro la violenza non è solo una questione di sicurezza, ma di dignità e giustizia per chi dedica la propria vita alla cura degli altri.
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