MILANO – Il giornalismo e il mondo della cultura italiana piangono Eugenio Scalfari, morto oggi all’età di 98 anni. Il più famoso e influente ‘maìtre à penser’ italiano, testimone del tempo e presenza carismatica per oltre mezzo secolo, ha disegnato nell’avvincente racconto del Paese i mille volti dell’Italia osservandoli con gli occhi dell’analista profondo e lucido della realtà, ma anche con lo sguardo dell’editore intraprendente e coraggioso, anticipando gusti, tecniche e tendenze. Considerato uno dei più grandi giornalisti italiani del XX secolo, ha sempre avuto un profondo interesse per il presente, che, come hanno raccontato le figlie in un film-documentario sulla sua vita uscito lo scorso anno, è stato “il suo grande psicofarmaco”, soprattutto nella parte finale della esistenza.
Nato a Civitavecchia il 6 aprile del 1924 da genitori calabresi, compagno di banco di Italo Calvino ai tempi del liceo classico (al ‘Cassini’ di Sanremo), contribuì, con altri, a fondare il settimanale ‘l’Espresso’ nel 1955 ed è stato il fondatore del quotidiano ‘la Repubblica’ nel 1976, al termine di una operazione (attuata con il Gruppo L’Espresso e la Arnoldo Mondadori Editore) con cui ha aperto una nuova pagina del giornalismo italiano. Sotto la sua direzione vetennale il quotidiano romano compie infatti rapidamente una scalata imponente, diventando per lungo tempo il principale giornale italiano per numero di tirature.
Tra le sue prime esperienze giornalistiche, ai tempi di giurisprudenza, c’era stato ‘Roma Fascista’, organo ufficiale del Guf (Gruppo Universitario Fascista), di cui era diventato caporedattore nel 1943. L’anno successivo, per una serie di corsivi non firmati in prima pagina in cui lancia generiche accuse verso speculazioni da parte di gerarchi del Partito Nazionale Fascista sulla costruzione dell’EUR, viene espulso dal partito. Al termine della seconda guerra mondiale entra in contatto con il neonato Partito Liberale Italiano, e nel 1955, anno in cui copre l’incarico di direttore amministrativo de ‘L’Espresso’, partecipa all’atto di fondazione del Partito Radicale. Il suo stile preciso e attento ai particolari evidenzia il suo costante impegno intellettuale nell’elaborazione di un’interpretazione dell’essere umano in chiave esistenzialista, ma ad emergere spesso è la sua passione per l’etica che primeggia proprio nei sui scritti e nei suoi articoli di denuncia. E’ del 1967 la sua inchiesta insieme a Lino Jannuzzi sul Sifar, che fa conoscere il tentativo di colpo di Stato chiamato piano ‘Solo’.
Il generale De Lorenzo li querela e i due giornalisti vengono condannati rispettivamente a 15 e a 14 mesi di reclusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta dai pm che erano riusciti a leggere gli incartamenti integrali prima che il governo ponesse il segreto di Stato. Alle elezioni politiche del 1968 Scalfari viene eletto deputato, come indipendente nelle liste del PSI, restando alla Camera fino al 1972. In quegli anni critica le manovre di Eugenio Cefis, prima presidente dell’Eni e poi di Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva. Tra questi ci fu nel 1971 Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi. Celebre il suo libro-inchiesta pubblicato con Giuseppe Turani nel 1974, ‘Razza padrona’. Nel 1976 dopo aver tentato di realizzare un quotidiano con Indro Montanelli, Scalfari fonda ‘la Repubblica’. Sotto la sua guida il quotidiano romano apre il filone investigativo sul caso Enimont, che dopo due anni viene in parte confermato dall’inchiesta di “Mani pulite”.
Abbandona il ruolo di direttore nel 1996, dopo aver ceduto anni prima, insieme a Caracciolo, la proprietà a Carlo De Benedetti ma continua a svolgere il ruolo di editorialista nell’edizione domenicale. Per la loro lunghezza gli articoli venivano definiti ‘la messa cantata della domenica’. Nel 2007 annuncia di voler lasciare la rubrica ‘Scalfari risponde’. Un ‘illuminista’, con un occhio aperto sulla società e uno sulla realtà interiore, ha sempre puntato lo sguardo sul di dentro, anche con un’analisi introspettiva delle vicende. “La crisi dei giornali è evidente anche perché i giovani hanno una rapporto di diffidenza con la parola scritta, sempre più ridotta a didascalia”, osservava una decina di anni fa, ribadendo negli ultimi anni che il giornale scritto reggerà all’urto violento della tecnologia, così come il libro, perché “una quota di popolazione vuole conoscere il pensiero e quindi i commenti, la cultura, l’applicazione pratica dell’economia e tutto quello che contiene un pensiero” e per fidelizzare i naviganti di un sito “ci vuole un giornale scritto che sia una specie di gallina che cova le uova e le uova sono poi il nutrimento del sito”. Tra i suoi scritti più recenti celebre il suo dialogo con Papa Francesco pubblicato in ‘Dialogo tra credenti e non credenti’ del 2013. Accanto ai molti riconoscimenti, ha ricevuto a Bruxelles il Premio Europeo del Libro.
(LaPresse)