MILANO – È stata “un’azione di stile militare, preordinata e avvenuta a distanza” dallo stadio, un “agguato” ai napoletani “che erano giunti a Milano e stavano transitando in una via ancora lontana dalla sede dell’incontro sportivo. Hanno inoltre partecipato diversi ultrà provenienti da Varese e da Nizza, tra i 10 e i 15, dove c’è una squadra gemellata”.
La decisione dopo gli arresti per gli scontri
Con questa motivazione il Gip Guido Salvini ha deciso di confermare la detenzione in carcere per i tre ultras dell’Inter arrestati a margine del match contro il Napoli il giorno di Santo Stefano. Lo scontro organizzato in cui sono rimasti feriti almeno quattro tifosi partenopei e che è costato la vita a Daniele Belardinelli sono, come si legge nel provvedimento, “espressione tra le più brutali di una sottocultura sportiva di ‘banda’ che richiama piuttosto, per la tecnica usata, uno scontro tra opposte fazioni politiche”. Dagli interrogatori e dalle indagini delle forze dell’ordine è emerso un quadro quasi militare considerando bastoni, mazze, spranghe utilizzate dagli ultras interisti ma anche di Varese e Nizza.
Il ruolo di ultras ‘esterni’
Questi erano già lì quando gli oltre cento assalitori sono arrivati al punto in cui era stato deciso l’agguato. Un’azione premeditato, un piano con ruoli ben definiti con tanto di autisti che avrebbero fatto salire quattro ultras a bordo delle loro auto per arrivare al luogo prestabilito. Ancora non si sa nulla su chi guidava il Suv che ha invaso la corsia opposta per scappare dopo l’urto e che ha così travolto e ucciso Belardinelli. Ma gli inquirenti sembrano certi che, per quanto il veicolo viaggiasse verso lo stadio, non avrebbe fatto parte del gruppo di napoletani diretti verso San Siro. Insomma le indagini vanno avanti in maniera spedita, i tre arrestati restano in carcere e le attenzioni degli inquirenti sono rivolte all’autista del Suv e a chi avrebbe organizzato un prima persona l’agguato.