NAPOLI – A questo ritmo, in base agli “impegni assunti” dai diversi Paesi, la temperatura media globale aumenterà di oltre 2,5 gradi centigradi entro il 2100. Lo rivela un nuovo rapporto ‘Emissions gap report 2023: broken record – temperatures hit new highs, yet world fails to cut emissions (again)’ diffuso dall’Unep, il programma delle Nazioni Unite dedicato all’ambiente, in vista del prossimo vertice mondiale sui cambiamenti climatici previsto dal 30 novembre a Dubai negli Emirati Arabi Uniti.
Secondo l’analisi “le nazioni devono andare oltre gli attuali impegni di Parigi, oppure ritrovarsi a dover affrontare un riscaldamento globale di 2,5-2,9 gradi entro la fine del secolo”. Le emissioni previste per il 2030 dovrebbero diminuire “del 28% per raggiungere i 2 gradi, e del 42% per arrivare alla soglia degli 1,5 gradi”.
Tra le proposte per ridurre il divario nelle emissioni sono fondamentali azioni di “mitigazione e trasformazioni a basse emissioni di carbonio”, incluse le tecnologie per la cattura e lo stoccaggio della CO2.
“Sappiamo che è ancora possibile rendere realtà il limite di 1,5 gradi – dice il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres – occorre estirpare la radice avvelenata della crisi climatica: i combustibili fossili. E richiede una transizione giusta ed equa verso le energie rinnovabili”.
Mantenere “la possibilità di raggiungere gli obiettivi di temperatura dell’accordo di Parigi dipende dal rafforzamento significativo della mitigazione in questo decennio per ridurre il divario delle emissioni. Ciò faciliterà obiettivi più ambiziosi per il 2035 nella prossima tornata di contributi determinati a livello nazionale (Ndc) e aumenterà le possibilità di soddisfare gli impegni verso le emissioni nette zero”.
La Cop28 – viene fatto presente – “dovrebbe garantire” che sia fornito “sostegno internazionale per lo sviluppo” delle nuove “tabelle di marcia” degli impegni dei singoli Paesi.
“Non c’è persona o economia sul Pianeta che non sia stata toccata dal cambiamento climatico – afferma Inger Andersen, direttore esecutivo dell’Unep – quindi dobbiamo smettere di stabilire record sulle emissioni di gas serra, sulle temperature elevate globali, e sulle condizioni meteorologiche estreme. Dobbiamo invece iniziare a stabilire altri record: sulla riduzione delle emissioni, sulle transizioni verdi e giuste, e sulla finanza climatica”.
Il rapporto rileva che “le emissioni globali di gas serra sono aumentate dell’1,2% dal 2021 al 2022, raggiungendo un nuovo record di 57,4 gigatonnellate di anidride carbonica equivalente. Le emissioni di gas serra nel G20 sono aumentate dell’1,2% nel 2022. Le tendenze delle emissioni riflettono modelli globali di disuguaglianza”. Tuttavia, “gli impegni di zero emissioni non sono attualmente considerati credibili: nessuno dei paesi del G20 sta riducendo le emissioni a un ritmo coerente con i propri obiettivi di zero emissioni”. Il rapporto invita “tutte le nazioni a realizzare trasformazioni” verso uno “sviluppo a basse emissioni di carbonio” del modello economico, “con particolare attenzione alla transizione energetica”. Inoltre, avverte, sul fatto che “i Paesi con maggiore capacità e responsabilità in termini di emissioni – in particolare quelli ad alto reddito e ad alte emissioni tra i G20 – dovranno intraprendere azioni più ambiziose e rapide e fornire supporto finanziario e tecnico ai Paesi in via di sviluppo”.
La questione del riscaldamento climatico inoltre non può non essere inquadrata da un punto di vista socio-economico. Le responsabilità a tal proposito sono molto chiare.
L’1% dei super ricchi del Pianeta, infatti, inquina quanto 5 miliardi di persone, ovvero i due terzi della popolazione mondiale. Il risultato è frutto della nuova analisi messa a punto dall’Oxfam che ha diffuso un rapporto ad hoc
“Nel 2019 – spiega l’Oxfam – l’1% più ricco in termini di reddito della popolazione mondiale è stato responsabile di una quota di emissioni di CO2 pari a quella prodotta da 5 miliardi di persone, ossia due terzi dell’umanità. La quota di emissioni di CO2 di cui è responsabile l’1% degli individui più facoltosi del mondo è salita al 16% nel 2019. In Italia nel 2019 il top 10% emetteva il 36% in più rispetto al 50% più povero della popolazione”:
Secondo il rapporto “le emissioni di cui è responsabile l’1% più ricco del Pianeta causeranno 1,3 milioni di vittime a causa degli effetti del riscaldamento globale, la maggior parte entro il 2030. Vittime che si potrebbero evitare con un radicale e immediato cambio di rotta”.
“I super-ricchi stanno saccheggiando e inquinando il Pianeta e di questo passo finiranno per distruggerlo – osserva Francesco Petrelli, portavoce di Oxfam Italia – per anni abbiamo lottato per creare le condizioni di una transizione giusta che ponga fine all’era dei combustibili fossili. Ma raggiungere quest’obiettivo cruciale sarà impossibile se non porremo fine alla crescente concentrazione di reddito e ricchezza che si riflette in disuguaglianze economiche sempre più marcate e contribuisce all’accelerazione del cambiamento climatico”.
Il rapporto – realizzato in collaborazione con lo Stockholm environment institute (Sei) – offre un’analisi dei livelli di emissioni per diversi gruppi di reddito nel 2019 (anno per cui sono disponibili i dati più recenti) mostrando il netto divario tra l’impronta di carbonio dei percettori di redditi più elevati e quella del resto della popolazione globale in base agli stili di vita, ai modelli di consumo e agli investimenti in industrie inquinanti.
La fotografia della disuguaglianza climatica ci racconta che “nel 2019, l’1% più ricco del Pianeta (77 milioni di persone) è stato responsabile del 16% delle emissioni globali di CO2 derivanti dai consumi, una quota superiore a quella prodotta da tutte le automobili in circolazione e degli altri mezzi di trasporto su strada; a sua volta il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile della metà delle emissioni globali”.
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