Non c’è niente da fare. I nostalgici del socialismo, declinato in tutte le sue forme, stentano a rassegnarsi alla sconfitta che la Storia ha decretato verso ogni forma, più o meno blanda, di organizzazione socio economico dello Stato. Ex comunisti, ex socialisti oppure ex social democratici che dir si voglia, ovvero un rilevante numero di persone, continua a confidare nello statalismo, vale a dire un’organizzazione dell’economia e della società imperniata attorno al ruolo principale di una gestione statale che abbia preponderanza, se non veri e propri monopoli, nella produzione di beni e servizi. Anche quando i carrozzoni statali producono disservizi, perdite di esercizio e scarsa qualità, ecco che gli adoratori delle società massificate e livellate dalla programmazione statale, si accontentano delle più disparate disfunzioni e sperperi del pubblico denaro dei contribuenti. Basta infatti una circostanza, una qualsiasi turbativa della condizione socio economica della Nazione che costoro rispuntano come funghi per addossare ad altri, siano esse persone oppure fenomeni socio economici, la responsabilità dell’accaduto. Più in generale: la critica, costante e puntigliosa, al capitalismo, si risveglia con vari anatemi, se non con l’elaborazione di tesi da poter diffondere tra i propri amici, colleghi e correligionari. Dopo decenni è cambiata anche la semantica che viene utilizzata dai detrattori- odiatori del libero mercato di concorrenza, al quale vengono affibbiate definizioni non certo lusinghiere. Da liberismo “selvaggio” a quello “anarchico” fino a giungere al più recente “ neo liberismo” . Espressioni che sottintendono uno stato dell’economia che creerebbe disuguaglianze e nuove povertà a tutto vantaggio dei capitalisti e dei produttori di ricchezza. Insomma: un sistema nel quale i ricchi diventerebbero più ricchi ed i poveri più poveri. Tuttavia così non è né può mai essere per la natura stessa del libero mercato di concorrenza, luogo nel quale ciascun portatore d’interesse tende ad offrire il meglio che possiede, o che produce, al più basso prezzo possibile affinché si allarghi la platea dei compratori dei beni prodotti. Per essere più chiari: l’espansione della richiesta popolare dei beni e dei servizi nasce come presupposto dell’allargamento delle possibilità economiche da parte dei compratori. Quindi, in sostanza, la diffusione della ricchezza è il presupposto di base per il regime di libero mercato. Per capirci: un uomo ricchissimo che vuol comprare scarpe costosissime possiede comunque solo due piedi per quante ne voglia comprare. E’ la creazione di una classe media di acquirenti, quelli che possono comprare scarpe a migliaia che riesce a mantenere la produzione, l’occupazione e tutto l’indotto che gira intorno alle calzature (pellami, lacci, suole, fodere, plastica speciale, scatole). Non si convinceranno mai, costoro, che sono i vizi o le necessità private a produrre le pubbliche virtù (produttive ed economiche). Oggi va di moda la denominazione “neo liberismo” come critica al libero mercato del regime capitalistico, con l’assunzione di base che il libero mercato abbia preso anche il sopravvento sulle decisioni politiche e sociali. Più in generale, che l’economia e gli interessi finanziari dettino la condotta e le scelte di fondo delle Nazioni, esautorandole sostanzialmente oppure condizionandole pesantemente. La teoria poggia in partenza sulla critica al mercato globale, detto globalizzazione, ovvero al sistema di produzione decentrato dei beni commerciabili e dei servizi più diffusi. Un’esternalizzazione della produzione secondo la maggiore convenienza e quindi tesa al profitto dei produttori. Ovviamente non è solo questo a determinare la scelta globale (e non solo i maggiori guadagni). Se un prodotto è fatto al meglio ed al più basso costo, il primo a goderne i vantaggi è il consumatore che ha sempre e comunque la facoltà di comprare quel che gli aggrada di scegliere. La Globalizzazione ha abbassato la soglia di povertà nel mondo sotto il 10 percento, fattore che i paesi già ricchi trascurano ed i critici ignorano. Ma quello che di più falso c’è nella teoria di critica al neo liberismo è addossare al medesimo la condizione di sudditanza delle Nazioni e della loro politica all’economia. Gli Stati sono subalterni quando sono indebitati e chiedono al mercato di finanziarli attraverso i titoli di Stato che questi offrono ai compratori con i relativi interessi. La perdita di sovranità nasce anche da questo. Essa dipende inoltre dai processi di costruzione dell’unità europea e soprattutto dalla moneta unica che viene indebolita dai Paesi indebitati. Il controllo sulle politiche di bilancio della UE è un diritto, affinché le politiche dissennate dei paesi membri minaccino il potere d’acquisto ed il valore della moneta comune . Insomma, la debolezza, l’incapacità della politica, i debiti che vengono prodotti per alimentare clienti e blocchi sociali, sono la base e l’origine del fenomeno. Occorrerebbe smetterla, pertanto, di camuffare la verità del mercato sotto le mentite spoglie della critica socialista e partigiana.