ROMA – Guerra, pandemia, instabilità politica. Sono queste le variabili che, ora e nei prossimi anni, si sommano a fragilità strutturali che affondano le radici nella storia del Paese, azzoppando la crescita e riportando l’Italia a viaggiare su binari a due velocità. È questa la fotografia scattata dalle anticipazioni del Rapporto annuale Svimez, che prospetta infatti un indebolimento generale della ripresa ma anche e soprattutto un ampliamento della forbice tra Nord e Sud. Una brusca inversione di tendenza rispetto al 2021 quando, dopo lo shock del Covid, il rimbalzo del Pil – guidato dal binomio di investimenti privati ed export – si è diffuso a tutte le aree del Paese.
Oggi, le stime al 2024 raccontano una storia diversa. Il picco inflazionistico del 2022 dovrebbe toccare con più decisione il Mezzogiorno, che arriva all’8,4% contro il 7,8% del Centro Nord, gravando su famiglie e imprese. Crollo dei consumi nei prossimi due anni e frenata degli investimenti, nonostante oggi superino quelli al Nord (+12,2% contro il 10,1%). In generale Svimez, così come le istituzioni nazionali e internazionali, prevede una drastica riduzione del ritmo di crescita, con il Pil in discesa al +3,4% nel 2022, al +1,5% nel 2023 e al +1,8% nel 2024. Un effetto depressivo causato dalle tensioni sui mercati finanziari alla luce della situazione politica traballante e che sarà più intenso a Sud, destinato a tassi di variazione inferiori al resto del Paese. Se infatti il prodotto nelle regioni centrosettentrionali arriva all’1,7% nel 2023, nel Mezzogiorno si ferma allo 0,9%. Ugualmente, nel 2024, si manterrebbe un divario di crescita, con il Sud che arranca con 6 decimi di punto in meno: +1,9% al nord contro il +1,3% del Sud.
Sul fronte energetico, sono ancora le aziende del Mezzogiorno a pagare il prezzo più salato: l’aumento dei costi dell’energia incide maggiormente sui bilanci perché in quest’area sono più diffuse le imprese di piccola dimensione, caratterizzate da costi di approvvigionamento strutturalmente più elevati sia nell’industria che nei servizi. Inoltre, i costi dei trasporti al Sud sono più alti, oltre il doppio rispetto a quelli delle altre aree del paese. Quindi il sistema produttivo meridionale si dimostra più fragile rispetto all’impatto della guerra: il Rapporto stima infatti che uno shock simmetrico sui prezzi dell’energia elettrica che ne aumenti il costo del 10%, a parità di cose, determini al Sud una contrazione dei margini dell’industria di circa 7 volte superiore a quella osservata nel resto d’Italia, rischiando di compromettere la sostenibilità dei processi produttivi con possibili conseguenze sul mantenimento dei livelli occupazionali.
di Martina Regis