L’annuncio del vicepresidente Di Maio dell’entrata in vigore del reddito di cittadinanza a partire dagli inizi di aprile ha inevitabilmente aperto una discussione sulla possibilità che si riesca nei tempi dati riuscire ad implementare le misure previste dalla bozza di decreto circolata in questi giorni. I continui rinvii, accompagnati dalle parole del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte sulla necessità di ascoltare le perplessità e le preoccupazioni emerse da più parti, fanno presagire l’eventualità che l’ottimismo del Ministro dello sviluppo economico stia progressivamente andando ad infrangersi contro il tempo e la realtà.
Nel dibattito maturato in questa settimana, ossia dalla data di circolazione della bozza, sono state in particolare sollevate criticità legate a due aspetti fondamentali: da un lato, la mancata riforma dei centri per l’impiego (Cpi), condizione indispensabile per l’implementazione della misura, dall’altro, la definizione della platea dei beneficiari e la tempistica per la somministrazione delle misure previste.
L’assessore regionale della Campania, Sonia Palmeri ha, dalle pagine di questo giornale, evidenziato le ragioni delle preoccupazioni delle Regioni, laddove alla carenza di personale che si inserisce nella fase di transizione dei Cpi dalla competenza provinciale a quella regionale, si è accompagnato il mancato trasferimento di fondi necessari al completamento della riforma. Temi sui quali è intervenuto il direttore nazionale di Anpal (Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro), Maurizio Del Conte, che ha a sua volta denunciato tra le altre cose l’assenza al momento della infrastruttura tecnologica che dovrà supportare l’intero processo, ossia l’annunciato software unico che dovrebbe mettere in rete le banche dati di tutti i Cpi sul territorio nazionale. Non mi dilungherò, pertanto, su questo aspetto, ampiamente sviscerato nei giorni scorsi dagli esperti di settore, in riferimento al quale non viene sciolta con chiarezza il ruolo che potranno svolgere le Agenzie per il lavoro private accresciute di numero negli ultimi anni.
Mi preme, piuttosto, fornire al dibattito un contributo ulteriore sulla fase di somministrazione delle politiche attive. Nel merito, la misura prevede che il beneficiario del reddito debba dare disponibilità per un arco temporale settimanale per lavori di pubblica utilità e frequentare corsi di formazione mirati all’inserimento lavorativo, oltre all’obbligo di accettare una delle prime tre offerte di lavoro, definite “congrue”, presentate dal Cpi, con il vincolo di accettazione della terza offerta qualora fosse distante oltre i 200 km dal luogo di residenza.
Tali disposizioni prevedono un processo per fasi che richiede una preliminare analisi dei fabbisogni aziendali che deve necessariamente avvenire su scala nazionale, data la disposizione vincolante legata al terzo colloquio. A questa, dovrebbe seguire una programmazione accurata da parte delle Regioni, rivolti agli enti preposti, di percorsi formativi mirati alle esigenze del mercato. Tasselli al momento mancanti che richiedono una tempistica che difficilmente potrà coincidere con i desiderata del Ministro.
Si tratta di una strada in salita. La scelta di realizzare un modello di reddito di cittadinanza come avviene in altre paesi europei è un indiscusso tema qualificante per una forza politica. Nel farraginoso Sistema Italia, un ambizioso ed ampio programma di riforma del welfare rappresenta uno di quei cambiamenti strutturali che richiedono un orizzonte temporale ben definito. Il rischio è quello di realizzare un provvedimento che fallisca nel suo obiettivo principale, ossia la piena occupazione dei suoi beneficiari.
Michele Affinito
*ricercatore di Storia Contemporanea