NAPOLI (Giuseppe Letizia) – Il super boss si nascondeva nella ‘casa del custode’. Non un bunker, ma un appartamento fantasma. Cinquanta metri quadrati. In un piano ammezzato al civico 424 in via Emilio Scaglione a Chiaiano. “Tutta questa gente per me?”, sono le uniche parole di Marco Di Lauro. E’ bianco in volto, quando un poliziotto lo solleva per il braccio. Sotto choc. L’agente sospetta che la ‘primula rossa’ sia spaurita per il trambusto (sono tutti in borghese e pistole in pugno). Gli offre un bicchiere d’acqua. Ma non è così.
Non vedeva il sole da un bel po’
Il 38enne è pallido perché non esce di casa da un bel po’, ghigna un investigatore navigato. “Non si ferma a prendere il sole da tempo, gli diamo la caccia da quattordici anni”. Ora è snello, senza barba. “Irriconoscibile, lontano anni luce dalle foto segnaletiche. Puoi solo conoscere il suo modo di camminare, per individuarlo in strada”. La faccia da bravo ragazzo. E’ in stato confusionale, quando lo trascinano in auto. Sono le 16 e 15 di ieri. Ma come sono arrivati lì? Gli uomini della squadra mobile non hanno un numero civico, ma indicazioni sommarie (descrizioni dei palazzi). Ecco perché cinturano cinque interi edifici prima del via libera all’operazione. I poliziotti non sanno se ci siano vie di fuga sul retro. Invece ce ne sono, ma lo scopriranno più tardi: una finestra dà su una campagna. Qui basta scavalcare un muro per arrivare a un terreno incolto. A quel punto è fatta. Ma gli 007 della Mobile, i Ros dei carabinieri e i finanzieri hanno militarizzato un intero isolato.
Scene da film
Tanto che gli abitanti si spaventano, quando vedono sfilare in strada un corteo di uomini pistole alla mano. In pieno giorno. Si barricano in casa. I super ‘segugi’ della questura provano a bussare in simultanea ai citofoni per aprire porte e cancelli. Ma non risponde nessuno. I residenti non sanno che quelli siano poliziotti. Passano esattamente trenta secondi (un tempo interminabile per la cattura di Marco Di Lauro). E scatta il piano B: gli agenti mettono l’elmetto. Entrano dalle finestre in strada, scavalcano ringhiere e balconi. Sembra una manovra bellica. L’attacco al fortino dura quindici minuti: un poliziotto della Mobile forza la finestra del piano rialzato al civico 424 e urla: “Sta qua, l’ho preso”. E’ il ‘cessate le ostilità’. Quello stesso davanzale viene scavalcato con un guizzo dal dirigente della sezione Catturandi, Nunzia Brancati. Poi entrano a decine: lo vogliono vedere in faccia. E giù pacche sulle spalle e sorrisi larghi.
Altro che Dubai
Gli agenti si baciano in strada, come una festa di paese. “Non immaginavamo fosse qui – raccontano – eravamo convinti che fosse fuori città, forse a Dubai. Chi sa”. Ma era in un appartamento ‘spartano’ nel suo quartiere: si entra da un portoncino e sulla sinistra ci sono quattro scalini. Ancora più a sinistra c’è la porta, dietro la quale si nascondeva il super latitante: in legno antico e in parte ammuffito. Non un accesso blindato (“avremmo potuto buttarla giù con un calcio”). Possibile che abbia ingannato tutti in questo modo per quattordici anni? L’interno della casa è ancora peggio: un piccolo corridoio, che porta a un salottino sulla sinistra.
Il covo dell’ex fuggitivo
Un agente nota sul divano letto dei cuscini, che un tempo dovevano essere bianchi. Sul lato opposto un piccolo bagnetto. Mobilio essenziale, quasi assente. Una abitazione più che modesta: una casa di appoggio. La palazzina a due piani ha la facciata giallo ocra e le inferriate verdi: nemmeno ci fai caso, se ci passi davanti. Eppure Marco Di Lauro era qui. Nessuna parrucca, nessun ritocco con il bisturi al volto. Niente nascondigli. La partita la conduceva a modo suo: era diventato un ragazzo come tanti nel rione. Un camaleonte, per chi gli dava la caccia. Probabilmente all’accorrenza parlava con tutti, senza negarsi. Non aveva paura. Del resto è cambiato tanto in quattordici anni. Ora conviveva con una ragazza. Una vita all’apparenza normale. Ma chi doveva, sapeva.