Ucraina, Lavrov: “Siamo come ai tempi della crisi dei missili di Cuba”. Cremlino ‘chiama’ Usa per eventuali negoziati

In foto il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov

Il ritiro “a tempo indeterminato” della Russia dall’accordo sul grano dopo l’attacco alle navi russe a Sebastopoli resta al centro della scena del conflitto ucraino. Secondo Mosca i droni che hanno partecipato all’azione sarebbero stati lanciati dalla regione di Odessa “utilizzando la zona di sicurezza del corridoio del grano”. Per i russi è possibile che questo sia accaduto partendo “da una delle navi civili noleggiate da Kiev o dai suoi clienti occidentali per l’esportazione di prodotti agricoli dai porti marittimi dell’Ucraina”.

Sul futuro dell’accordo le parole di Mosca sono ondivaghe. Da un lato il ministero degli Esteri fa sapere che, “nei prossimi giorni” sono in programma contatti con le Nazioni Unite e l’Onu, partecipanti all’accordo di Istanbul. Dall’altro però la Russia precisa che sarà possibile parlare della possibilità di un ritorno all’accordo soltanto “dopo un’indagine approfondita su quanto accaduto a Sebastopoli” in quanto “tutte le condizioni precedentemente concordate sono state violate”.

Sul fronte ucraino ovviamente la pensano in maniera opposta. “Sospendendo la sua partecipazione all’accordo sul grano con il falso pretesto di esplosioni a 220 chilometri dal corridoio, la Russia blocca 2 milioni di tonnellate di grano sufficienti per sfamare oltre 7 milioni di persone”, il pensiero del ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba. L’accusa ai russi è quella di aver “pianificato con largo anticipo”, l’accaduto. Nel frattempo Mosca torna a chiamare in causa gli Stati Uniti.

A farlo è il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, secondo cui l’attuale situazione in Ucraina è “simile” alla crisi dei missili di Cuba “visto che si vengono a creare minacce dirette alla sicurezza della Federazione Russa proprio ai suoi confini”. Secondo il capo della diplomazia di Mosca la differenze è che all’epoca il leader sovietico Nikita Krusciov e il presidente Usa John F. Kennedy “avevano trovato la forza di mostrare responsabilità e saggezza”. E a ‘citofonare’ a Washington c’è anche il Cremlino.

Per il portavoce Dmitry Peskov Russia e Stati Uniti potrebbero sedersi allo stesso tavolo in quella che potrebbe diventare una piattaforma di negoziato, se “il desiderio degli Usa” fosse quello “di ascoltare le nostre preoccupazioni”. Quello di Washington sarebbe una sorta di “voto decisivo” perché con Kiev “è impossibile parlare di qualunque cosa”, aggiunge ancora.

Mosca per l’ennesima volta si dice quindi pronta a negoziare scaricando la responsabilità del conflitto sull’Ucraina. Per Kiev, invece, si tratta solamente di una finzione per “prendere tempo davanti alle sconfitte dell’esercito” perché chi vuole negoziare “non distrugge il sistema energetico del Paese per congelare la sua popolazione in inverno, non si impegna in esecuzioni di massa di civili, non bombarda i quartieri residenziali, non annuncia la mobilitazione di altri 300mila militari, non fa bloccare le forniture di grano, non emette ultimatum”.(LaPresse)

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