Da più parti ci si affanna a lanciare appelli perché i cittadini si rechino alle urne, concorrendo, con il loro voto, a decidere chi debba governare. E’ giusto che queste sollecitazioni si rivolgano a tutti i cittadini, in nome della democrazia e delle sue istituzioni. Senza un’ampia partecipazione di popolo al voto, la democrazia stessa, infatti, risulterebbe debole e scarsamente rappresentativa. Di converso risulterà scarsa la legittimazione conferita a chi assumerà la responsabilità di guidare il Paese. Sono concetti elementari, questi, che vanno giustamente richiamati, ma non bastano se le sollecitazioni non sono accompagnate da adeguate motivazioni. Queste ultime dovrebbero essere contenute e incorporate nei programmi e nei propositi che ciascuna forza politica si prefigge, distinguendosi da quelle concorrenti. Tuttavia così non è nello scenario politico attuale che non sembra differenziarsi abbastanza sia nei programmi di fondo che nelle proposte che vengono esposte agli elettori. Se gli uni concorrenti finiscono per somigliare agli altri, l’elettore si convince che l’uno e l’altro pari sono onde per cui non vale la pena esprimere un voto che, sostanzialmente, non determina scelte né alternative. E’ questo il punto d’origine dell’elevata astensione che si registra da tempo in Italia: essa si alimenta del convincimento che nulla potrà cambiare dopo il voto e che tutte le vacche siano nere nella notte buia. A ben guardare, al cospetto di quel che offre la campagna elettorale in corso, i disillusi , gli scettici e gli agnostici che non si recano alle urne, non hanno poi tutti i torti. I temi principali trattati dai leader dei principali schieramenti politici si sovrappongono, più che diversificarsi, accomunati nel messaggio rivolto alla pancia degli elettori, alle lusinghe di poter alleggerire il peso della bolletta energetica domestica, al mantenimento di quel grande strumento clientelare chiamato da taluni “reddito di cittadinanza”, da tal altri sussidio minimo. Lo stesso per le pensioni che già rappresentano oltre il trenta percento della spesa statale. Quel che si para all’orizzonte è un governo che ripercorrerà vecchie e comode strade, l’uso della leva della spesa pubblica a debito crescente, l’utilizzo in mille rivoli del maggiore gettito che le imprese di Stato stanno accumulando grazie alla crisi stessa. Insomma uno Stato che incasserà circa 200 miliardi di euro in più e che benevolmente promette di restituirne una trentina come contributo ai cittadini, oltre quelli già stanziati, di pari importo, dai decreti di Mario Draghi. Eppure sarebbe bastato fare i ragassificatori come in Spagna ove oggi il gas costa la metà. Se questo è il ben misero universo degli argomenti c’è da chiedersi quali elementi possano spingere la gente a recarsi alle urne il prossimo 25 settembre. Limitandosi a quella fetta di elettorato composta da gente più o meno informata ed in qualche modo avveduta e responsabile, bisognerà dire che il voto non deve solamente guardare al contingente, lasciando questa visione, sub civile e politica, alle truppe cammellate ed alle tifoserie dei partiti politici, agli opportunisti che attendono ulteriori prebende statali. Occorre pensare che in una nazione che deve risollevarsi dalla mediocrità della partecipazione alla politica ed agli scarsi risultati che questa produce, ha il dovere di partecipare nei modi e nelle forme più congeniali (prima tra queste il voto), perché è cosa buona e giusta. Giuseppe Dossetti, politico di grande levatura, invitava la gente a riflettere sulla convenienza, anche pratica, che deriva dall’interessarsi alla politica per gli uomini probi ed onesti, per il semplice fatto che è sconveniente lasciare nelle mani di avventurieri e profittatori la gestione della cosa pubblica. Chi crede di potersi ritirare nel proprio privato non ha capito che la politica mette le mani nella sua vita e nei suoi interessi. Chi crede di poter rifiutare l’arma del voto non fa altro che consegnare agli indegni la possibilità di decidere del proprio futuro. Viviamo in epoca nella quale la politica viene raccontata malamente, illustrata come il luogo dei privilegi di una casta e dei ladri, non lo strumento per governare la diversità e la complessità sociale. L’illusione grillina che bastasse solo un poco di onestà e di buon senso per poterla fare, è una volgare menzogna, che abbiamo pagato con una rappresentanza parlamentare di basso livello e di minime capacità. Se chi ha talenti li sotterra, chi ha mani pulite le tiene inoperose in tasca, chi ha competenze e cultura le tiene per se stesso, la politica diventa il luogo degli avventurieri e dei profittatori. A chi altri conviene questo stato di cose se non alla parte peggiore della società? Il voto è quindi un espressione della nostra libertà di concorrere al bene sociale, la testimonianza di una consapevolezza civile e morale. Votiamo, in fondo, per restare liberi e protagonisti delle nostra vita.
*già parlamentare