Vajont, 56 anni fa il disastro della diga che causò duemila vittime

Un'onda alta 250 metri distrusse diversi villaggi della valle del Vajont uccidendo circa duemila persone

BELLUNO – Una tragedia che ancora oggi, dopo 56 anni dal disastro, lascia molti interrogativi aperti. Erano le 22,39 del 9 ottobre 1963. Circa 270 milioni di metri cubi di roccia scivolarono dal monte Toc nel bacino artificiale sottostante creato dalla diga del Vajont provocando un’onda di piena che superò i 250 metri d’altezza. L’onda distrusse tutti gli abitati lungo le sponde del lago nel comune di Erto e Casso e si riversò nella valle del Piave distruggendo quasi completamente il paese di Longarone e i comuni limitrofi. Morirono 1917 persone: 450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e altre 200 in altri comuni.

Le cause del disastro

I cantieri per realizzare la diga furono aperti, con ampi contributi pubblici, nel gennaio del 1957, sulla scia del miracolo economico e della fede nella tecnologia sfrenata, dando lavoro a circa 400 persone. La diga sarebbe diventata la più alta del mondo (266 metri di altezza, 723 sopra il livello del mare), in grado di contenere 115 milioni di metri cubici di acqua. La realizzazione della struttura fu fin da subito accompagnata da molte perplessità. Dopo la tragedia l’opinione pubblica si divise tra chi condannava la società che aveva relizzato l’impianto per aver ignorato l’instabilità dell’area e chi imputava invece il disastro a una ‘clamità naturale’.

Le indagini

Subito dopo la tragedia il Ministero dei Lavori Pubblici avviò le indagini sul disastro della diga. Nel 1968 il Giudice istruttore di Belluno, depositò la sentenza del procedimento penale contro diversi vertici della Sade, ente gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione, accusati di aver occultato la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico. Due di loro morirono, e un altro si tolse la vita il 28 novembre di quell’anno. Il giorno dopo iniziò il Processo di Primo Grado, che si tenne a L’Aquila. L’accusa chiese 21 anni di reclusione per tutti gli imputati per disastro colposo di frana e e d’inondazione, aggravati dalla previsione dell’evento e daomicidi colposi plurimi aggravati. Biadene, Batini e Violin vennero condannati a sei anni, di cui due condonati, di reclusione, per omicidio colposo, tutti gli altri furono assolti. La prevedibilità della frana non venne riconosciuta. 

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