Violenza donne, disabile stuprata a 17 anni: “Ho denunciato per me e le altre”

"Ho scelto di denunciare, non solo per me. L'ho fatto per aiutare altre persone, più fragili di me, che non ce la fanno a denunciare le violenze".

“Ho scelto di denunciare, non solo per me. L’ho fatto per aiutare altre persone, più fragili di me, che non ce la fanno a denunciare le violenze”. Emanuela Di Marzio aveva 17 anni nel 2000, quando è stata violentata da un fisioterapista nel centro in cui praticava l’ippoterapia, a Roma. Emanuela, 34enne, è nata con una tetraparesi spastica distonica neonatale che non le permette di camminare. Il 10 agosto del 2000, nel centro di ippoterapia che frequentava da tempo, non era presente il fisioterapista che la seguiva di solito, ma un suo sostituto. “Quel giorno pioveva e lui mi disse di non andare a cavallo e di fare invece attività nella stanzetta: ‘Ti insegno un esercizio di respirazione, così potrai tornare a camminare’, disse”.

“Mi fece alzare dalla sedia e poggiare le mani sul tavolo – racconta la donna a LaPresse – Da dietro mi abbassò i pantaloni, e cominciò a dirmi ‘respira forte, respira forte’. Io non capivo bene cosa stesse facendo mentre lui mi diceva ‘respira, respira più forte, così tornerai a stare dritta con la schiena e a camminare'”.

Tornata a casa Emanuela era molto scossa. Di quanto successo con il fisioterapista ha deciso di parlarne con la mamma Paola. Al trauma della violenza subita si è aggiunto quello di non aver capito le bugie dell’uomo. E alla paura, si è aggiunto il disgusto. Ogni notte aveva incubi: “Sognavo lui che mi era addosso perché voleva fare sesso, mi svegliavo urlando”. Dopo la denuncia, venne chiesta una perizia per verificare l’attendibilità di Emanuela. “Quello è stato un altro colpo – spiega Paola – Emanuela e tutti noi ci siamo sentiti non creduti. Un dolore atroce che si è sommato all’altro. E ha ucciso il padre di Emanuela, che non è arrivato alla fine del processo”.

Grazie all’aiuto della psicologa Rosalba Taddeini, “ho fatto un percorso dentro di me – continua Emanuela – e ho capito che la violenza va denunciata e possono caderne vittima non solo le persone disabili e più fragili, ma tutte”.

L’uomo è stato condannato per la violenza sessuale e si è scoperto che aveva commesso altre violenze simili anche in altre regioni.

“So che poi lo hanno liberato e se ci penso ho una grande paura – conclude – Ho paura che possa rifarlo con gente che non parla, che non può difendersi come ho fatto io, che sono riuscita a fermarlo”.

di Alessandra Lemme

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