Voghera, confermati i domiciliari per Adriatrici in un luogo sicuro. Teste: “Ha mirato e sparato”

Massimo Adriatici, l'assessore leghista alla Sicurezza del Comune di Voghera, rimane ai domiciliari per la morte di Youns El Boussetaoui, il 39enne ucciso con un colpo di pistola martedì sera nella piazza del cittadina pavese.

Massimo Adriatici

VOGHERA – Massimo Adriatici, l’assessore leghista alla Sicurezza del Comune di Voghera, rimane ai domiciliari per la morte di Youns El Boussetaoui, il 39enne ucciso con un colpo di pistola martedì sera nella piazza del cittadina pavese. Lo ha deciso la gip di Voghera. Per lui l’accusa è eccesso colposo di legittima difesa: la gip ha fatto cadere le motivazioni dell’inquinamento probatorio, ma resta il pericolo della reiterazione del reato.

Accolta anche la richiesta della difesa dell’avvocato, trasferito in un luogo sicuro “per il serio e fondato pericolo per la propria incolumità”, come ha spiegato il suo legale Gabriele Pipicelli. I legali hanno chiesto il trasferimento del loro assistito perché preoccupati dal clima di tensione che si sarebbe creato in città ma anche per il fatto che sui social sarebbe stato reso noto l’indirizzo di Adriatici.

Intanto, le indagini stanno facendo il loro corso per cercare di ricostruire cosa accadde in piazza Meandri quel martedì sera. La famiglia della vittima non crede alla ricostruzione di Adriatici per cui il colpo sarebbe partito ‘accidentalmente’. I legali di Youns El Boussetaoui confermano la presenza di un testimone che avrebbe visto l’assessore mirare al 39enne e sparare. Secondo l’avvocata Debora Piazza, il teste ha ribadito “più volte di aver visto la vittima mentre sferrava uno schiaffo all’assessore che è caduto per terra, ha estratto l’arma, l’ha puntata contro di lui e ha sparato”.

Nel racconto del testimone, Adriatici avrebbe mostrato la pistola a El Boussetaoui “quasi per provocarlo: ha alzato la maglietta e gli ha fatto vedere più volte la pistola” prima di “puntare l’arma ad altezza uomo, mirare e sparare”.

Il clima intorno alla vicenda si fa sempre più caldo. Da un lato Matteo Salvini che da Rimini dice che “se a Voghera, quel signore che purtroppo è morto, fosse stato espulso dopo i reati che aveva commesso, come doveva, oggi piangeremmo una vita in meno”. Dall’altra la proposta di legge per controlli più stringenti per le armi, a prima firma Walter Verini (Pd) sottoscritta anche da Susanna Cenni e altri deputati Pd, Leu, Italia Viva e M5S.

In mezzo, il tema del razzismo che, dicono i legali della vittima, c’è. “La sottotraccia di razzismo si vede anche dalle mail che abbiamo ricevuto, mail di minacce che ci augurano di vivere 120 anni tra agonie”, ha spiegato l’avvocato Marco Romagnoli che rappresenta la famiglia della vittima con Piazza.

La giornata ha visto anche momenti di tensione nella cittadina dell’Oltrepo Pavese dove oltre un migliaio di persone hanno sfilato per le strade chiedendo giustizia.

Sotto il comune di Voghera polizia e carabinieri in tenuta antisommossa si sono schierati davanti all’ingresso mentre la folla urlava il nome di Younes El Boussettaoui. Ad aprire il corteo i genitori, i fratelli e la sorella della vittima, Bahija: “Chiediamo solo la giustizia per Younes. Nessun casino, nessuna giustizia fai da te, no destra, no sinistra, il popolo italiano è giusto e ci darà giustizia. A questa manifestazione c’è tanta gente perché tutti conoscono Younes, visto che siamo in Italia da 23 anni”, racconta la sorella.

“Adesso Younes non è più solo il figlio e il fratello della famiglia El Boussettaoui, ma di tutte queste persone che sono qui, e di quelle che stanno manifestando in altre città. Io sono fiduciosa che lo Stato e il Governo italiano ci daranno giustizia perché è chiaro cos’è successo quel giorno, lo sparo, il caso è chiarissimo. Gli inquirenti fanno questo di mestiere e avranno capito anche loro. Noi ora vogliamo giustizia”, ha concluso la donna.

Di Stefano Bertolino e Lorena Cacace

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