CASAPESENNA – Da Opera a L’Aquila. Cambia carcere Michele Zagaria. Un spostamento ‘ordinario’: solitamente i detenuti al 41bs ogni due anni vengono trasferiti da una struttura penitenziaria all’altra. Ed è successo anche al boss di Casapesenna. Capastorta, prima di arrivare a Milano, dopo la cattura del 2011, è stato recluso a Novara e a Parma. E ora all’ergastolano tocca l’Abruzzo.
Il boss in crisi
Zagaria è un boss ‘in crisi’, sicuramente debole: a dimostrarlo sono le carte raccolte dalla Dia di Napoli che hanno portato all’arresto della sorella Beatrice (condannata in primo grado per camorra). Lettere e intercettazioni hanno tracciato la figura di un capomafia pronto a cedere, proprio come i suoi due colleghi di ‘vertice’ (Antonio Iovine e Nicola Schiavone). L’impero degli Zagaria si sta sgretolando sotto i colpi della Procura distrettuale. Ma a metterlo definitivamente in crisi saranno le informazioni rivelate agli inquirenti proprio dal primogenito di ‘Sandokan’.
Schiavone collabora, l’impero di Capastorta trema
I rapporti tra Capastorta e il figlio di Francesco Schiavone non sono mai stati idilliaci, anzi. In diverse occasioni i loro attriti hanno rischiato di innescare una vera e propria guerra tra cosche. Il neo-pentito, adesso, potrà riferire alla Dda i suoi contatti politici e imprenditoriali e anche quelli dell’orma ex compare di mafia. Nicola Schiavone si è pentito. Da circa un mese alcuni suoi familiari hanno lasciato Casal di Principe per trasferirsi in località protette. Anche Zagaria è stato ad un passo dal chiedere di collaborare con la giustizia. Il boss di Casapesenna, tra il 2016 e il 2017, ha raccontato il suo malessere ai familiari durante i colloqui. Mai in modo esplicito: frasi spezzate, disseminate nei discorsi apparentemente normali per non far insospettire gli investigatori.
La seconda parte della lettera inviata a Beatrice (CLICCA QUI PER LEGGERE LA PRIMA PARTE)
Nel giugno di due anni fa, però, non riuscì a frenarsi: chiese esplicitamente alla “sorellona” Beatrice, la mamma del suo ‘delfino’, Filippo Capaldo, “un consiglio”. “La colpa dei padri non deve cadere sui figli”, scrisse Capastorta alla donna. Il capomafia si riferiva alle numerose indagini della Dda che avevano coinvolto i suoi cari. “Non so se ti ricordi, quando ci siamo incontrati in caserma, quando mi hanno arrestato e tu eri spaventata e io ti ho detto di stare tranquilla, che forse è stato meglio così. Così si finisce tutto questo accanimento verso la nostra famiglia. Ti giuro – chiarì nella lettera Zagaria – che te lo dissi con tutto il cuore perché stavo già da 4 anni senza muovere un dito. Cercavo solo di non farmi prendere e cosi l’ho considerata una specie di liberazione. Per me cominciava un’altra vita”.
La rabbia dell’ergastolano
La rassegnazione nell’ergastolano però è durata poco. Dopo cinque anni la ‘crisi’. E ad acuirla sarebbe stata l’attenzione dell’Antimafia verso fratelli, nipoti e sorelle. “Ho pensato, a questo punto male, che vi avrebbero lasciati in pace, naturalmente finendo di scontare quello che già stavano pagando i nostri fratelli e allora anche tuo figlio. Mi ero immaginato che poteva passare qualche altro poco di tempo, ma sarebbero usciti tutti fuori”. Nella missiva il mafioso, con tono quasi minaccioso, accennò anche a possibili reazioni che avrebbe potuto prendere e che invece aveva evitato: “Mi sono sbagliato e di grosso pure perché se minimamente avessi immaginato che poteva capitare tutto quello che ci sta capitando, proprio da quando mi hanno arrestato, sinceramente di sicuro non mi sarei comportato come mi sono comportato”. Zagaria è stato a un passo dalla collaborazione. Se la sorella gli avesse dato via libera avrebbe contatto i magistrati dell’Antimafia. Non è successo. E adesso potrà pensare al sangue e al dolore che ha sparso in una nuova cella, quella de L’Aquila. E mentre sconta il suo ergastolo, l’impero che ha costruito sul male lentamente viene demolito dalla Dda.