Duplice omicidio, nuove accuse per Augusto La Torre. Il pentito Pagliuca: il boss dei Chiuovi pronto per ricominciare a delinquere

Il pm Alessandro D'Alessio ha chiesto il rinvio a giudizio per La Torre. Secondo la Dda è stato il mandante dell'assassinio di Teodoro e Osvaldo De Roso. I due furono ammazzati nel 1990 in un'abitazione del Litorale

MONDRAGONE – Se colpevole stavolta non ci sarà lo status di pentito a garantirgli pene leggere. Da qualche anno Augusto La Torre non è più un collaboratore di giustizia. E adesso da semplice imputato rischia di dover affrontare un nuovo processo con l’accusa di omicidio. Per la Dda di Napoli il boss dei Chiuovi è stato il mandante dell’assassinio di Osvaldo e Teodoro De Rosa.

La nuova accusa 

I due cugini di Sparanise furono ammazzati a Mondragone nel giugno del 1990.
Gli esecutori materiali dei delitti sono già stati condannati con sentenza definitiva. A trascinarli a giudizio furono proprio le dichiarazioni di La Torre, durante il suo ‘parziale’ pentimento. A rappresentare l’Antimafia in quel processo c’era il magistrato Raffaele Cantone, attuale capo dell’Anac. Oggi un altro pm della Dda, Alessandro D’Alessio, vuole alla sbarra chi ordinò la mattanza.

L’udienza preliminare a settembre

Augusto La Torre, già in carcere a Ivrea, a metà settembre dovrà comparire dinanzi al giudice Tommaso Perrella . In caso di rinvio a giudizio il capoclan affronterà l’iter privo dello ‘scudo’ di collaboratore.

A breve il mondragonese terminerà di scontare i 30 anni di reclusione che complessivamente ha incassato con verdetti ormai irrevocabili. Ma i suoi ‘piani d’uscita’ rischiano di complicarsi. In caso di condanna La Torre vedrebbe prolungarsi la sua permanenza in cella.

Il duplice omicidio in una casa del Litorale 

Le vittime assassinate 28 anni fa si occupavano di commercio di bestiame. Avevano iniziato a frequentare il Litorale, ma la loro presenzia lì non era gradita al leader dei Chiuovi. Così furono giustiziati in una casa a Mondragone. Dopo aver bruciato la loro vettura, i killer avvolsero i cadaveri in buste di plastica per trasportarli nella zona Francolise. L’obiettivo era quello di depistare le indagini lasciando cadere la colpa dell’agguato sui Papa. “Bisogna aver sempre fiducia nella giustizia”, ha commentato Benedetto Zoccola, mondragonese sotto- scorta per il suo impegno contro la mafia del Litorale. “Il tempo e i processi serviranno ad accertare la verità. La legge riconosce sempre chi ha cercato e cerca di prenderla in giro”.

A sostenere che Augusto La Torre sia stato un pentito a metà è stato Donato Pagliuca, collaboratore di giustizia. Su alcune ‘famiglie’ del Litorale il boss “volutamente non ha reso dichiarazioni accusatorie”.

Le dichiarazioni di Donato Pagliuca

Il boss dei Chiuovi, secondo il collaboratore di giustizia, aveva intenzione “di ricominciare a compiere attività illecite”. Fra qualche anno (in caso di assoluzione dalle nuove accuse di omicidio) il capomafia dovrebbe lasciare il carcere di Ivrea. E così “spingeva il figlio Tiberio a far rientro a Mondragone per sondare il terreno”.

Le vere intenzioni di La Torre

Le informazioni sulle presunte strategie del boss a Pagliuca sono state riferite da una donna, per diverso tempo vicina a Francesco Tiberio, che conobbe tra febbraio e marzo del 2012. In un successivo incontro tra i due, avvenuto a Viglianello, la ragazza rivelò “le vere intenzione di Tiberio La Torre”. “Mi disse che quando si recava con lui ai colloqui con Augusto, questi spingeva il figlio a verificare la disponibilità delle famiglie locali”, che aveva ‘graziato’ durante il pentimento, “ad un possibile rientro dei La Torre. La donna – ha continuato Pacifico – mi disse che Tiberio e il padre nel corso dei colloqui utilizzavano un linguaggio celato, a tratti quasi incomprensibile per lei che vi assisteva”.

Tra droga e commercio di bibite

Al pentito sono stati indicati anche i gruppi che il boss aveva chiesto al primogenito di contattare: “Augusto aveva chiesto al figlio di avvicinare la famiglia Sorrentino, ‘i paioni’, al fine di vedere se questi erano disposti a dargli denaro per affrontare le loro spese”. I La Torre, in base a quanto riferito dal collaboratore, volevano reinserirsi “nello spaccio di stupefacenti, estorsioni e in particolare nel settore della distribuzione delle bibite”.

Le conversazione via Skype del pentito

A confermargli le intenzioni della donna è stato anche Americo Di Leone: “Nel corso di alcune conversazioni avute con lui tramite Skype mi disse che Tiberio, figlio di Augusto, in quel periodo stava girando con un furgone unitamente al più anziano dei titolari della ditta Sorrentino per i vari supermercati e negozi allo scopo di imporre quale distributore il Sorrentino stesso (non indagato ed innocente fino a prova contraria, ndr.)”.

Le dichiarazioni rese al pm Alessandro D’Alessio nel 2016 sono confluite nella recente indagini che ha portato all’arresto proprio di Francesco Tiberio La Torre, dello zio Antonio, di Luigi Meandro e Salvatore De Crescenzo, rispettivamente difesi dai legali Giovanni Lavanga, Luigi Mordacchini, Giovanni Zannini, Francesco Lavanga e Alfonso Quarto. Per i quattro, accusati di detenzione e porto abusivo di armi (reati per la Procura aggravati dalla finalità mafiosa), è già stata fissata udienza preliminare. La stessa inchiesta, coordinata dai pm Maria Laura Lalia Morra e D’Alessio, ha coinvolto pure il boss Augusto La Torre, inquisito per tentata estorsione.

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