Beni confiscati, l’ombra del clan. Le dichiarazioni del pentito e le intercettazioni

L'indagine della Dda sulla realizzazione dell'impianto di compostaggio sul terreno confiscato alla famiglia Schiavone

CASAL DI PRINCIPE – Una riunione tra la Procura di Santa Maria e quella di Napoli. Un incontro tra magistrati e carabinieri, messo nero su bianco, per dividersi il lavoro. Per comprendere chi avrebbe dovuto procedere su cosa.

IL RAID DI PIOMBO

Nel 2008 a scoperchiare il ‘vaso di pandora’ furono gli spari all’auto di Enrico Parente. Era la notte del 13 dicembre: la sua Alfa venne raggiunta da 2 colpi di pistola. Quel raid di piombo spinse i carabinieri ad indagare sulla vita dell’allora sindaco di Grazzanise. Il perché dell’attentato, a distanza di 10 anni, resta ancora un mistero: dal movente ‘passionale’ alla ritorsione politica. Per ora solo ipotesi, nessuna certezza. Ma l’ambientale piazzata nell’Alfa innescò un effetto domino. Un’inchiesta a catena capace di far emergere relazioni tra colletti bianchi e clan dei Casalesi.

AD UN PASSO DAL LATITANTE

Nel 2009 portò perfino i militari dell’Arma di Grazzanise ad un passo dalla cattura di Michele Zagaria. Era in Austria. E Parente (secondo il giudice Isabella Iaselli del tribunale di Napoli), lo aveva raggiunto in Austria, probabilmente ad Innsbruck.

LA DIVISIONE DEI COMPITI

Non solo camorra. Tutto partì da quella cimi ce nascosta nell’Alfa. Intercettazioni, pedinamenti e documenti cristallizzarono anche altre ipotesi di reato: illeciti che con la mafia, però, nulla avevano a che fare. E su quegli episodi ha proceduto (sta procedendo) la Procura di Santa Maria Capua Vetere. Dove c’era e c’è camorra, invece, tocca alla Dda di Napoli. A questo è servito quell’incontro tra magistrati e carabinieri. Era il 6 giugno del 2013. Un faccia a faccia tra pm e investigatori per organizzare il lavoro.
Tra gli argomenti curati dall’Antimafia, invece, c’è la “Realizzazione del sito di compostaggio nel comune di Grazzanise”: l’idea di Enrico Parente (scomparso nel settembre del 2016) da concretizzare sul terreno confiscato alla famiglia Schiavone nella periferia mazzonara.

L’IMPIANTO DI COMPOSTAGGIO

Di striscio la questione è già stata trattata nell’inchiesta ‘Chronos’, l’operazione incentrata sull’appalto da oltre 3 milioni per il collettore fognario. Benito Natale, coinvolto in quell’indagine, dopo il suo pentimento al pm Alessandro D’Alessio ne ha parlato in modo dettagliato. E la scorsa settimana il collaboratore è tornato sulla questione affrontandola in aula, durante l’udienza del processo a carico di Sergio e Adolfo Orsi. Con i due imprenditori di Casal di Principe a giudizio c’è pure Enzo Papa, accusato di intestazione fittizia aggravata dalla finalità mafiosa (per la vicenda ‘Sia srl’). Secondo Natale anche l’ex poliziotto avrebbe avuto progetti ‘in mente’ per quel terreno confiscato.

LE DICHIARAZIONI DEL PENTITO

“Su quell’area Papa voleva avviare un’attività riconducibile al sociale. Una piscina. Sapeva dei miei rapporti con Nicola Schiavone. Mi chiese se potevo comunicargli questa cosa”. Ma del presunto piano di Enzo Papa al figlio del boss Natale non disse una parola. “Non lo feci. Fu una scelta mia”. A Nicola Schiavone, invece, quando lo incontrò avrebbe riferito del piano del sindaco. “Gli parlai del compostaggio che voleva fare il Comune con Enrico Parente e l’architetto Maurizio Malena (già coinvolto nell’inchiesta Chronos per turbativa d’asta e innocente fino a prova contraria, ndr.)”.

I VERBALI

Ma è nei verbali del 2016 che Natale tratta più approfonditamente la vicenda. Quelle dichiarazioni sono state depositante nel processo a carico di Alessandro Zagaria, Nicola e Francesco Madonna, a giudizio con l’accusa di aver tubato, per favorire il clan, la gara per l’emissario. Quell’impianto, afferma il pentito, “doveva essere realizzato su un terreno confiscato a Francesco ‘Sandokan’ Schiavone e a Walter Schiavone. Enrico Parente, – ha proseguito Natale – mi chiese di riferire di tale progetto di Malena a Nicola Schiavone e questa vicenda rafforzò i miei rapporti con il Malena”.

IL PERMESSO CHIESTO A ‘NICOLA’

L’obiettivo era realizzare la struttura senza inimicarsi il primogenito del capoclan, all’epoca ancora libero. Al camorrista, secondo il pentito, fu palesata la prospettiva di un possibile ritorno economico (se l’operazione fosse andata in porto). Era un ‘bene’ che la camorra aveva perso, ma che indirettamente, con la creazione dell’impianto, avrebbe potuto continuare a garantirle un introito. Il periodo a cui fa riferimento il collaboratore è tra il 2007 ed il 2008. A riscontro di quanto sostenuto c’è l’intervento del Partito Democratico, all’epoca guidato dall’avvocato Paolo Parente, che con un manifesto si oppose all’iniziativa. Il legale scrisse che “quel luogo individuato per la costruzione del suddetto sito, essendo un bene confiscato alla criminalità organizzata” era sottoposto “a vincolo per la realizzazione di opere a carattere sociale”.

L’INTERCETTAZIONE

La vicenda viene tirata in ballo anche in un’ambientale del gennaio 2009 riguardante una conversazione in auto tra Maurizio Malena e l’allora sindaco Parente, intercettazione contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Emilia Di Palma. Il discorso tra i due, sostiene il giudice, verteva proprio sulla gestione dell’umido.
“Con questi qua, – diceva Malena, – ci siamo incontrati sulla telesina su una stazione di servizio. Ci siamo un po’ messi d’accordo sull’Ati come deve essere la camorra”. Il “con questi qua”, fa riferimento, annota testualmente il giudice, “ai rappresentati di una società con sede in Milano, che il sindaco e l’architetto” stavano “per incontrare nell’ambito dei lavori preparatori di un appalto, poi non bandito, per la costruzione di un sito di compostaggio a Grazzanise”.

LE IMPRESE DEL NORD

“Di là non ci vogliono mettere nessuno perché come sentono un nome di là subito la magistratura comincia a guardarci. Ci vorrebbe, – continuava Malena – qualche ditta collegata, che sono ben collegate con loro e che possibilmente devono avere questi consorzi con il nord Italia…eccetera, possibilmente con la sede legale a Roma”.

IL PENTIMENTO DI SCHIAVONE

Benito Natale è stato condannato per camorra proprio a seguito dell’ordinanza che contiene le intercettazioni tra Malena e Parente. Nelle sentenze che ha incassato in Appello gli è stata riconosciuta l’attenuante per la sua collaborazione con la giustizia. Per la Dda è un pentito attendibile. Ma a sancire definitivamente la sua credibilità sarà Nicola Schiavone. Da luglio il figlio di Francesco ‘Sandokan’ è un ex affiliato. Si è pentito, proprio come hanno fatto Natale, Nicola Panaro, Massimiliano Caterino e Antonio Iovine. Sarà il primogenito del capoclan a confermare o a smentire i racconti di Natale. Dalla sua incidenze nel settore delle slot, agli incontri sull’affare rifiuti, dal progetto ‘compostaggio’ sull’area del ‘papà’ all’intervento per calmare i Nuvoletta, arrabbiati con il grazzanisano per l’avvicinamento ai Casalesi.

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