CASAL DI PRINCIPE – Imprenditori collusi, appalti e tangenti. I tentacoli della sua famiglia sul sammaritano e i rapporti con i politici. Tanti spunti investigativi, ma ancora troppi omissis. Nicola Schiavone sta parlando. Il pm Maurizio Giordano, ieri mattina, dopo averle annunciate lunedì scorso, ha depositato materialmente al tribunale di Napoli le prime dichiarazioni del pentito: ha scelto di usarle nell’udienza preliminare, a carico di 45 persone, innescata dall’inchiesta The Queen.
LE ACCUSE DEL PENTITO
Schiavone, 39enne, difeso dall’avvocato Stefania Pacelli, ha tirato in ballo quattro imprenditori, tutti coinvolti nell’indagine sul sistema La Regina.
Il figlio di Sandokan è stato interrogato dal pm lo scorso 21 settembre. Le informazioni che ha reso sono ancora oggetto di riscontri. Quelle consegnate al giudice Linda Comella, però, per il sostituto procuratore già bastano per modificare alcuni capi di imputazione che verranno formalizzati a fine mese.
I FRATELLI BRETTO
“Conosco bene la famiglia Bretto, in particolare i fratelli Antonio e mi pare Salvatore (non coinvolto nell’indagine, ndr.)”. Abitavano “ncopp via Larino”, ha spiegato il collaboratore di giustizia, “nei pressi della chiesa di San Nicola”.
Antonio Bretto, 48enne, difeso dagli avvocati Angelo Raucci e Saverio Campana, è accusato di associazione a delinquere finalizzata a commettere corruzioni e a turbare appalti pubblici.
“I fratelli Bretto, almeno fino al 2010 – ha dichiarato Schiavone – non hanno avuto grazie a me personalmente dei lavori. Ricordo che conducevano un tenore di vita abbastanza modesto negli anni Novanta: per farvi un esempio ricordo che la fidanzata di uno dei due, sorella di Luigi Scalzone (non coinvolto nell’inchiesta, ndr.), vendeva in ‘nero’ abiti in casa, il che era difficilmente compatibile con un tenore di vita agiato. Ricordo, però, che a partire dagli inizi degli anni Duemila, i due Bretto cominciarono a crescere dal punto di vista imprenditoriale, aggiudicandosi diversi lavori pubblici”.
Seppe di quel progresso imprenditoriale, ha raccontato il pentito, dal loro versare “nelle casse del clan la quota per i lavori che si aggiudicavano”.
“Nel momento in cui sono entrati in contatto con noi fin dall’inizio – ha aggiunto il collaboratore – hanno dato la loro disponibilità ad appoggiare imprese che noi avremmo indicato o ad essere aggiudicatari di lavori nel casertano. Ci chiese, a me in particolare, per il tramite dei miei uomini, di entrare a far parte di quelle imprese disponibili ai nostri interessi”.
DIMOLA E I LAVORI A S. MARIA
Quando il pm gli ha chiesto di Rino Dimola, assistito dai legali Paolo Trofino e Giovanni Cantelli, in prima battuta Schiavone ha detto di non conoscerlo. Ma su input del magistrato è riuscito a collegarlo all’appalto per il palazzo Cappabianca: “Fu il secondo lavoro su cui omissis raggiunse, a nome di omissis, l’accordo con me per la scelta della ditta da far vincere che sarebbe stata designata dall’amministrazione. Per questo lavoro ebbi 200mila euro circa che mi vennero versati in rate”. “A Santa Maria ero responsabile verso il clan dei Casalesi a partire dal settembre 2008. Prima di me – ha spiegato il 39enne – il referente per la famiglia Schiavone era Vincenzo Conte e prima di lui Augusto e Cesare Bianco. Su Santa Maria Capua Vetere Elio Diana è stato sempre stato un nostro punto di riferimento. La supremazia della famiglia Schiavone si è tradotta anche in un contatto con l’amministrazione comunale per il tramite di Alfonso Salzillo”.
Anche Dimola, come Bretto, risponde di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e a turbare gare d’appalto.
“IMPRENDITORI COLLUSI”
Gli altri due imprenditori che sarebbero stati noti a Schiavone sono Mario Martinelli, 54enne di San Cipriano d’Aversa, rappresentato dall’avvocato Cantelli, e Pasquale Garofalo, 44enne di Aversa, difeso dagli avvocati Trofino e Francesco Picca.
“Martinelli – ha affermato il boss – ha un fratello che si chiama Pasquale (non coinvolto nell’inchiesta, ndr.) ed è ortopedico. Ha sposato una sorella di Pasquale Gaorfalo, persona che io conosco bene. E’ un imprenditore che parlava molto con Corrado Russo. Intendo dire che Martinelli era molto legato a Corrado Russo per il tramite soprattutto di Garofalo. Molto legato sia noi che ai Russo”. “E’ stato un interlocutore privilegiato per noi del clan – ha concluso Schiavone. – Appartiene cioè a quelle categorie di imprenditori collusi con noi del clan dei Casalesi”.
Martinelli è accusato di associazione mafiosa, Garofalo, invece, di turbativa d’asta e corruzione aggravata dall’aver agevolato il clan.