Dopo varie vicissitudini, soprattutto per gli interventi della Ue, il testo della legge di Bilancio 2019 è approdato alla Commissione bilancio del Senato. Questa manovra, nata con l’intento di debellare la povertà dal nostro paese, attraverso una serie di misure tese a rimpolpare le tasche degli italiani, ha subìto svariati ritocchini al ribasso fino, sembrerebbe, a snaturarla del tutto. Potrei fare un elenco di quanto “NON FATTO”, ma mi limito ad evidenziare quanto questa manovra non premi minimamente le classi sociali a cui ci rivolgiamo.
Per far ripartire l’economia del Paese, la manovra avrebbe dovuto avere come obiettivo primario quello di rilanciare le politiche pubbliche finalizzate allo sviluppo sostenibile e al lavoro, invece non si prevedono interventi atti a contrastare la disoccupazione e le disuguaglianze. Al di là del fatto che i numeri iniziali sono cambiati notevolmente, è evidente che questa manovra, che doveva rispondere a molte delle promesse fatte in campagna elettorale, ha una serie di problemi.
Il “Reddito di Cittadinanza” è stato di molto depotenziato. Nel documento inviato a Bruxelles il governo ha stimato di spendere 1,9 miliardi in meno, risparmiati facendo partire la misura a marzo e supponendo che non la richiederanno tutti gli aventi diritto. Di fatto, così come è stato pensato, l’intervento non è legato ad una misura di politica attiva per il lavoro, è puro e semplice assistenzialismo che non produrrà crescita e sviluppo, non creerà occupazione e non darà le risposte sperate, soprattutto al Mezzogiorno. Tra l’altro, si è scelto di abbandonare il Reddito di Inserimento voluto dal governo Gentiloni che qui al Sud iniziava a produrre effetti importanti sul piano sociale e che, soprattutto nell’ultima revisione, rappresentava uno strumento moderno e legato al lavoro.
Anche sulle pensioni non hanno tenuto fede alle promesse fatte in campagna elettorale: non solo non è stata cambiata la Fornero, ma questo intervento costituisce il vero nodo di tutta la manovra in quanto a lungo termine, il cosiddetto “Quota 100” rischia addirittura di essere pericoloso per la tenuta dei conti pubblici.
Bisognerà anche in questo caso, come in quello del Reddito di cittadinanza, aspettare la struttura definitiva della norma, ma le modifiche e le tante limitazioni introdotte allo scopo di renderla meno attraente possibile la configurano come dannosa per tutti. Innanzitutto, avrà una durata di soli 3 anni e prevederà il divieto di cumulo con redditi sopra i 5mila euro in aggiunta al sistema delle “finestre” per il quale l’assegno previdenziale arriverà dopo tre mesi dall’effettiva maturazione dei requisiti, che salgono a sei mesi per i dipendenti pubblici. Dovrebbe impattare 350mila persone, ma considerato di quanto sono state ridotte le risorse – portate da 6,7 a 4 miliardi -, non è sostenibile. Per quello che è il sistema, quindi, anche sulle pensioni direi che l’impegno del governo è saltato.
Per quanto riguarda le Politiche fiscali poi, siamo di fronte ad interventi davvero blandi, che poco o nulla apporteranno: ci sarà solo una defiscalizzazione per imprese e per i redditi alti, nulla per i redditi da lavoro, non si interviene sul cuneo fiscale in maniera tale da alleggerire il carico su chi lavora e così si penalizzano ulteriormente Mezzogiorno, lavoratori e pensionati. Avrebbero dovuto, invece, aumentare significativamente le detrazioni spettanti ai redditi da lavoro dipendente e da pensione.
Gianluca Daniele
Consigliere regionale Pd