E’ di queste ore la notizia che Enrico Letta, di ritorno dal volontario esilio in Francia, sarà il prossimo segretario del Pd. Il partito che ha sede al largo del Nazareno in Roma, si accinge, dunque, a sostituire il dimissionario Nicola Zingaretti, raro esempio di politico che si sia mostrato cosciente della inadeguatezza e dei limiti nel ricoprire il ruolo affidatogli. In effetti è noto che la carica non santifica colui che la ricopre. Non tutti, però, hanno la consapevolezza dei propri limiti e si illudono, facilmente, di essere diventati quello che non sono mai stati.
A ben guardare non è solo Zingaretti ad essersi dimostrato inadeguato verso le aspettative dei milioni di elettori del più grande partito della sinistra italiana. In genere, in politica, le dimissioni si annunciano ma non si presentano. In questo caso inoltre nessuno dell’establishment piddino ha proferito una sola parola affinché il segretario (in carica) recedesse dal suo “gran rifiuto”. Un rifiuto, ricordiamolo, giunto nel bel mezzo di una crisi di governo, la terza in poco più di due anni, risoltasi con una grande e contraddittoria ammucchiata tra destra e sinistra, che ha portato i democratici a sedere in maggioranza con il vecchio nemico Silvio Berlusconi e con il nuovo nemico Matteo Salvini.
Il tutto condito con la perdita di una qualsivoglia strategia politica, avendo, il partito democratico, assecondato supinamente l’operazione Draghi, della quale era stato mentore l’inviso Matteo Renzi. Insomma più che un’ulteriore perdita di identità del partito della sinistra (di governo) italiana, si ha la sensazione che, con l’investitura dell’ex premier Letta, si sia definitivamente chiusa la stagione del post comunismo e quella della prospettiva socialista da realizzare nella società italiana. Non è certo un male che questo sia accaduto e che, esclusi i pochi comunisti impenitenti, anche i vecchi leader del fu Pci-Pds-Ds non abbiano più avuto difficoltà a definirsi “liberali”.
Ovviamente si tratta di liberali alle vongole, orecchianti dell’ultima ora, che dei principi del liberalismo rifiutano ancora capisaldi come il libero mercato di concorrenza e l’iniziativa privata diffusa in ogni ambito. Gente che continua a perseguire forme di statalismo e di cieca fiducia nello Stato onnipotente ed onnipresente. Tuttavia, non sono gli unici, in Italia, a sposare la comoda tesi che coltiva l’ossimoro che vuole coniugare Stato e mercato e quindi operare da socialisti, definendosi liberali. Ed è questa precisa chiave di lettura della posizione politica, ormai maggioritaria nel Pd, che può spiegare anche la scelta di affidare a Letta la segreteria del Nazareno.
Letta è un cattolico democratico, ovvero un vecchio democristiano di sinistra, figlio di quella tradizione che si richiama a Giuseppe Dossetti e che si è sempre opposta al cattolicesimo popolar liberale di Luigi Sturzo. In effetti ancora una volta, nella lunga metamorfosi subìta dal partito che fu di Berlinguer, del suo tentativo di trovare una “terza via” tra socialismo e capitalismo, ecco salire alla maggior carica politica interna un erede estraneo alla storia di “Botteghe Oscure”. Dopo Franceschini, Castagnetti e Renzi, tocca insomma ad un altro (ex) Dc rappresentare la tradizione dei democratici di sinistra. Non a capo di un governo, come Prodi, Gentiloni (e lo stesso Letta), ma del partito.
Il che sta a significare non un espediente legato alle circostanze di dover formare una compagine di governo che abbia maggioranza praticabile in Parlamento, ma di affidare la guida del Pd a chi meglio possa rappresentarlo nella sua nuova veste liberal socialista. L’esperienza, per la verità, non è nuova. La prima volta che furono cedute le redini politiche dei dem fu con Matteo Renzi e sappiamo come è andata a finire. Tuttavia, per quanto dirompente sia stata la stagione del “Rottamatore”, credo che l’ex sindaco di Firenze abbia lasciato profondi segni di un rinnovamento esistenziale nel Pd: l’accantonamento definitivo di una classe politica di pregressa militanza comunista e delle liturgie residuali del centralismo democratico (oltre che delle nomenclature).
È questo il lascito politico ed ideologico che riceve oggi Letta: un’eredità politica paradossalmente renziana. Nella Grecia antica, particolarmente diffusi erano i riti che si celebravano nel santuario di Demetra nella città di Eleusi, detti, per questo, “Misteri Eleusini”. Si trattava di riti riservati, esoterici ed esclusivi, dunque. Ebbene, tali riti dovevano conferire ai praticanti il dono della palingenesi, della reincarnazione dopo la morte, se non l’immortalità per trasformazione. Il passaggio ad una vita nuova. Quella che Letta, assurto a garante della speranza, vorrebbe per il Pd: continuare a vivere pur trasformandosi. Misteri Eleusini al Nazareno.