L’ultima Dea

Luca Palamara (Foto LaPresse - Adriana Sapone)

Ricordate la storia del Vaso di Pandora, il leggendario “contenitore” nel quale erano raccolti tutti i mali del mondo? Quando, per scempiaggine, quel mitologico recipiente fu aperto, “flagelli” come vizio, gelosia, malattia, pazzia e vecchiaia, si riversarono sulla terra e l’Uomo, fino a quel momento immune da tutta quella serie di insidie, fu costretto a correre ai ripari per provare a parare la minaccia. Ebbene, un’analoga allegoria può essere invocata per descrivere alcuni episodi di cronaca che hanno destato, di recente, l’attenzione della pubblica opinione. A cominciare dal caso dell’ex presidente dell’Anm, il giudice Luca Palamara, indagato a Perugia con l’accusa di corruzione per aver accettato – almeno questa è l’ipotesi – denaro, viaggi, gioielli e regali da parte di alcuni lobbisti e avvocati, in cambio di favori nelle nomine di alcuni magistrati nelle varie procure. Tra questi figurava l’ex pm corrotto (e condannato) Giancarlo Longo le cui “dichiarazioni” hanno inaugurato, di fatto, la stagione del “pentitismo” sul lato opposto della barricata: quella dei magistrati. Ora, i fatti in esame risalgono all’epoca in cui Palamara, attualmente pm presso la procura di Roma, era membro del Csm l’organo di autogoverno delle toghe italiane, finito, a sua volta, nel tritacarne con il coinvolgimento, in un altro filone della stessa indagine, di alcuni suoi consiglieri.

L’altra notizia è la conferma della piena assoluzione, in Cassazione, di Nicola Cosentino e dei suoi fratelli, nel processo che ha visto l’ex sottosegretario ed i propri familiari, tradotti in carcere per diversi mesi con tanto di sequestro cautelativo di danaro e delle molteplici attività imprenditoriali di famiglia. A ben vedere si tratta di un clamoroso capovolgimento di fronte: da una parte, infatti, c’è un politico distrutto assolto con formula piena, dall’altra un imprecisato numero di giudici di alto rango, finiti nei guai ed esposti al pubblico ludibrio per reati come il favoreggiamento e la rivelazione del segreto di ufficio che, se confermati, sarebbero a dir poco infamanti. Insomma, l’ago della bilancia si è spostato dai soggetti politici, finora accusati di essere tutti potenzialmente inclini a delinquere, alle toghe che quel teorema hanno sovente sostenuto e brandito come una clava.

Per dirla in altre parole: la biscia si è rivoltata contro il ciarlatano. I depositari del bene assoluto, unici ed insindacabili custodi dell’etica pubblica, accusati di riunirsi in conventicole e, col manuale Cencelli, di accontentare amici di cordata politica e sindacale, mostrano di essere anch’essi esposti al tarlo della corruttela ed alla tanto vituperata spartizione politica e correntista delle principali cariche previste dalla giurisdizione. E tuttavia, chissà perché, ancora non s’ode appieno la canea dei servizi dei giornalisti moralizzatori, quelli delle rubriche televisive d’assalto, nei confronti di questa nuova categoria di indagati: la cautela vestita di paura è ancora ancella del sacro rispetto per coloro che amministrano la giustizia. Ne consegue che non vi sono teoremi da spacciare per certi ed immutabili, non vi sono richieste di dimissioni di massa. Non si parla del varo di nuove e più stringenti norme e sanzioni a carico dei magistrati come è sempre stato, finora, per i corrotti della politica. All’opposto, si tenta di far passare la crisi del massimo organo della magistratura come una sorta di inciampo, un “incidente di percorso” che giammai deve apparire come consuetudine nella gestione di un potere che non deve rispondere di nulla a nessuno. Nessuno si azzarda a dirle queste cose, ovvero che siamo innanzi all’insindacabilità delle toghe, all’irresponsabilità dei loro errori, a carriere fatte di anzianità e notorietà ed oggi possiamo aggiungere anche degli amici che contano politicamente. Non s’ode la voce che chiede una revisione delle guarentigie per i giudici come fu chiesto per i parlamentari, né delle loro pensioni e vitalizi, delle ferie raddoppiate, delle inefficienze di uffici e processi. Insomma per i poteri dei magistrati siamo ancora lontani dal redde rationem che ha investito quello dei politici. La gente ha paura di esporsi nei confronti di chi può distruggerti la vita senza pagarne il pegno in caso di errore. A cominciare dalla politica politicante dei moralisti un tanto al chilo, dei liberali alle vongole che invocano libertà e certezza dei diritti se non c’è da disturbare anime elette e temibili. A costoro dovremmo ricordare quel che Lord Acton soleva ripetere “Il potere corrompe ed il potere assoluto corrompe assolutamente”, chiunque lo detenga. L’ultima a rimanere nel vaso di Pandora e quindi a lasciare la terra fu la Speranza, ed è ancora questa per noi italiani, l’ultima dea.

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