L’area deforestata nell’Amazzonia brasiliana ha raggiunto il record rispetto agli ultimi 15 anni dopo un aumento del 22% rispetto all’anno precedente. Il sistema di monitoraggio Prodes dell’Istituto nazionale per la ricerca spaziale ha mostrato che l’Amazzonia brasiliana ha perso 13.235 chilometri quadrati di foresta pluviale nel periodo da agosto 2020 a luglio 2021, una superficie pari a quella della nostra regione Campania, e che rappresenta il massimo dal 2006. Buona parte della foresta amazzonica è andata in fumo negli ultimi mesi. Gli incendi in Brasile del 2020 hanno devastato 8.500 chilometri quadrati di foreste del secondo polmone verde del pianeta. Secondo Inpe la distruzione dello scorso anno resta comunque inferiore ai 9.178 chilometri quadrati di foresta andati in fiamme nel 2019, anno peggiore per l’Amazzonia. Ma nel solo mese di dicembre 2020 sono stati distrutti 216 chilometri quadrati di foresta amazzonica, un’area del 14% superiore rispetto a quella scomparsa nel dicembre 2019. Lo scorso anno poi sono stati registrati fino a 103.161 incendi, il 15,6% in più rispetto a quelli dell’anno precedente.
Tesoro di biodiversità
L’Amazzonia è nota anche come polmone verde della Terra per la sua estensione e importanza (la seconda foresta più grande al mondo dopo la taiga russo-siberiana, e costituisce più della metà delle foreste tropicali rimaste al mondo e ospita una biodiversità maggiore di qualsiasi altra foresta tropicale. Un’area di 52mila chilometro quadrati della foresta pluviale dell’Amazzonia centrale, che comprende il parco nazionale di Jaú, è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 2000. Un’altra area protetta situata entro i suoi confini è quella della Serranía de Chiribiquete, il parco nazionale di foresta pluviale più grande al mondo, dichiarato anch’esso Patrimonio dell’umanità dall’Unesco. La foresta amazzonica è stata inoltre inserita al primo posto delle Nuove sette meraviglie del mondo naturali.
Il ruolo delle foreste
La natura è il regolatore climatico più efficace e il più potente elemento di immagazzinamento della CO2. La sua perdita influenza direttamente la capacità di raggiungere gli obiettivi di arrestare il surriscaldamento del pianeta. Lo dice anche il Report Foreste 2021 pubblicato due giorni fa da Legambiente. Il bosco fornisce ossigeno, cibo, principi attivi farmaceutici e acqua dolce, contrasta la desertificazione, aiuta a prevenire l’erosione del suolo, funge da deposito naturale di carbonio e svolge una importante funzione per la stabilizzazione del clima e il surriscaldamento globale. Le foreste e le attività forestali svolgono un importante ruolo nella lotta al cambiamento climatico globale e, nell’ambito degli impegni internazionali (Accordo di Parigi del 2015) ed
europei di riduzione delle emissioni di gas serra (Quadro energia-clima 2030), rappresentano uno strumento strategico per il raggiungimento di un’economia a basse emissioni di carbonio entro il 2030. Gli alberi hanno un ruolo fondamentale nel ridurre il surriscaldamento globale. Le attività selvicolturali determinano la quantità di carbonio in un determinato momento (carbon stock) e i bilanci tra assorbimento ed emissioni di gas serra all’interno di un periodo di tempo (carbon budget), attraverso la stima della differenza tra crescita dello stock e perdite legate a prelievi, operazioni selvicolturali, incendi, avversità biotiche.
L’ossigeno
A differenza di quanto siamo portati a credere non sono le foreste a produrre la maggior parte dell’ossigeno che respiriamo, ma il fitoplancton che si trova negli oceani. Ciò nonostante la devastazione dell’Amazzonia potrebbe portare a conseguenze irrimediabili per il nostro pianeta. Il pericolo maggiore è rappresentato dal fatto che la grande quantità di anidride carbonica emessa in Brasile, insieme ai fumi e alle polveri, contribuisca a rendere più intensa la stagione secca, facilitando la formazione di nuovi e ancora più vasti incendi.