Il guardaroba salva il pianeta

NAPOLI – Dalla scelta dei materiali dei vestiti a quella delle marche ‘alla moda’, cercando una produzione etica per i capi d’abbigliamento e dal minore impatto ambientale possibile: un’attenzione al guardaroba e un’altra all’ambiente per risparmiare, in casa, aiutando la natura senza dover sacrificare l’estetica e la moda.

Una situazione dir poco drammatica. Secondo gli esperti subito dopo l’industria petrolifera quella dell’abbigliamento è la seconda più inquinante del pianeta.  Problematico, ad esempio, il consumo dell’acqua. Le aziende utilizzano 10mila litri di acqua dolce per produrre poco più di un chilo di cotone. Non è tutto. Dopo la creazione del tessuto c’è bisogno di ulteriori quantitativi di acqua per il lavaggio. In India l’85% del fabbisogno giornaliero di acqua dell’intera popolazione viene utilizzata per coltivare cotone nel paese mentre 100 milioni di indiani non hanno accesso all’acqua potabile. Un motivo in più per prestare particolare attenzione al guardaroba, risparmiando e in questo modo aiutando anche l’ambiente.

Scegliere il proprio guardaroba facendo attenzione all’etichetta

Sono poche le regole da seguire per ridurre l’impatto ambientale del proprio guardaroba. Piccole attenzioni che, oltre a dare una mano alla natura, possono anche portare a un risparmio non indifferente. L’ambiente (e il portafoglio) ne saranno grati. La distanza è fondamentale: se non si riesce a trovare un ‘made in Italy’ la priorità è per le fibre provenienti dall’Unione Europea, sottoposte a rigidi regolamenti di produzione. In secondo luogo la scelta migliore è quella su fibre biologiche e che contengono poche sostanze chimiche. Tra i vari tessuti è preferibile il lino e le fibre riciclate, per la cui produzione è necessario un minore quantitativo di acqua.

Come allungare la vita dei propri capi preferiti

Dal lavaggio allo ‘stivaggio’: come vengono maneggiati i propri vestiti decide quanto dureranno. Pochi accorgimenti sono necessari per far si che i propri capi, invece di strapparsi e scucirsi, possano durare per anni senza rovinarsi. I primi consigli arrivano direttamente dal produttore: sempre seguire le indicazioni dell’etichetta. I capi vanno capovolti, per evitare che in lavatrice si strappino. Invece della candeggina l’aceto bianco, prodotto naturale e poco inquinante, rappresenta un’alternativa agli sbiancanti di produzione chimica. Evitare di usare l’asciugatrice: oltre a risparmiare sui consumi di energia si eviterà di rovinare le fibre dei tessuti, che nell’elettrodomestico finiscono. Ultimo, ma non meno importante, non spruzzare deodoranti o profumi direttamente sui vestiti, soprattutto sui tessuti più delicati.

Inferno di rifiuti in Cile: 39mila tonnellate di abiti buttati

Basta un solo sguardo alle immagini che arrivano dal Cile, scattate tra le dune del deserto dell’Atacama, per capire fino a che punto arrivi l’impatto che l’industria dell’abbigliamento infligge all’ambiente. Un deserto bellissimo ad alta quota, fatto di lagune e geyser, circondato dai villaggi andini. Sommerso, però, da 39mila tonnellate di capi di abbigliamento buttati. Maglioni e t-shirt, jeans e giacconi: tutto in gran parte perfettamente funzionante, però non più ‘alla moda’ e ‘dell’ultimo grido’. A volte qualche strappo, una semplice scucitura basta per gettare via un capo perfettamente funzionante. Il problema è però dopo, quando questo deve venire ‘smaltito’. Ogni anno, soltanto in Italia, sono centinaia di migliaia le tonnellate di vestiti buttati che, anche se vengono differenziati, finiscono in ogni modo in discariche, anche se lontane dallo sguardo.

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