Medioriente: primo viaggio di Biden da presidente per superare l’eredità di Trump

Dopo i successi di immagine raccolti nelle sue missioni in Asia e in Europa, Joe Biden si è imbarcato nel suo primo viaggio in Medioriente da presidente, sulla scia di un sempre più traballante consenso in patria e con le incerte prospettive che spesso si accompagnano alle visite nella regione

In foto Joe Biden AP Photo/Susan Walsh

WASHINGTON (Usa) – Dopo i successi di immagine raccolti nelle sue missioni in Asia e in Europa, Joe Biden si è imbarcato nel suo primo viaggio in Medioriente da presidente, sulla scia di un sempre più traballante consenso in patria e con le incerte prospettive che spesso si accompagnano alle visite nella regione. Stabilizzazione dei rapporti tra israeliani e Paesi arabi, nucleare iraniano e normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita, con l’obiettivo (non dichiarato) di un aumento della produzione petrolifera, per calmierare i mercati globali: questi sono i temi principali della missione del presidente Usa, come più volte ricordato dai funzionari dell’Amministrazione, nei briefing che ne hanno preceduto la partenza.

Sul primo punto, Biden può contare sull’eredità della precedente Amministrazione, che ribaltando la tradizionale politica Usa nella regione ha lasciato in dote all’attuale Casa Bianca uno scenario mediorientale completamente mutato. Non c’è dubbio che gli Accordi di Abramo, la normalizzazione dei rapporti tra Israele e una serie di Paesi arabi, siano il principale successo di politica estera di Donald Trump, come anche riconosciuto, seppure con riluttanza, anche dall’Amministrazione Biden. “La nostra politica non potrebbe essere più diversa. Anche se sosteniamo gli Accordi di Abramno non significa che abbiamo la stessa politica per il Medioriente”, ha detto un funzionario dell’Amministrazione. Lo stesso Biden, in un intervento pubblicato sul Washington Post sabato, ha voluto sottolineare che “il Medioriente che visiterò è più sicuro e stabile di quello ereditato dalla mia Amministrazione 18 mesi fa”.

E tuttavia, è proprio in virtù degli Accordi di Abramo che Israele punta sulla visita di Biden per compiere passi avanti nella normalizzazione dei rapporti con i sauditi, la principale potenza regionale, fondamentale per la stabilizzazione dell’intera area e per il contenimento della minaccia iraniana. Da parte Usa, alla vigilia della partenza di Biden, si è cercato di smorzare gli entusiasmi, anticipando che difficilmente ci saranno annunci a effetto riguardanti i rapporti tra Israele e Riad. Ci si aspetta però che questa settimana i sauditi annuncino che concederanno ai voli commerciali israeliani di sorvolare il proprio spazio aereo, mentre saranno consentiti voli diretti in partenza da Israele per la minoranza musulmana che intende partecipare all’annuale pellegrinaggio alla Mecca.

Lo stesso Biden volerà direttamente in Arabia Saudita da Israele, in quello che ha definito un “piccolo simbolo delle nascenti relazioni” tra i due Paesi. Alla vigilia della visita nella regione, l’Amministrazione Usa ha anche sottolineato come proprio i rapporti con i sauditi siano cambiati, rispetto alla politica dell'”assegno in bianco” firmato da Trump a favore di Riad. Tuttavia, la retorica abbracciata da Biden durante la campagna presidenziale del 2020, nella quale aveva promesso di fare dell’Arabia Saudita un “Paese paria”, per le responsabilità del principe ereditario Mohammed bin Salman nell’uccisione del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, ha dovuto fare i conti con la realtà della guerra in Ucraina. Soprattutto, con la necessità di immettere sui mercati globali più barili di petrolio, per calmierare i prezzi dell’energia e raffreddare l’inflazione che sta compromettendo la ripresa economica in Usa e in Europa.

Il presidente Usa, nelle scorse settimane, ha chiarito che non chiederà ai sauditi alcun aumento della produzione. La Casa Bianca, hanno lasciato intendere alcuni funzionari dell’Amministrazione nei briefing della vigilia, non vuole dare l’impressione, internamente e internazionalmente, di essere disposta a chiudere un occhio sul tema dei diritti umani, in cambio del greggio saudita. Ma è assai probabile che una o due settimane dopo la visita di Biden si possa assistere a un significativo aumento della produzione. Sarebbe un altro tassello nella normalizzazione dei rapporti tra Washington e Riad, dopo la tregua accordata dai sauditi nello Yemen, accolta con grande favore dall’Amministrazione Usa.

In questo scenario di rapporti tra la superpotenza Usa e le potenze regionali saudita e israeliana sembrano rimanere parzialmente schiacciati i palestinesi. Nonostante il riavvicinamento tra l’Amministrazione Usa e la leadership di Ramallah dopo gli anni dell’Amministrazione Trump, la Casa Bianca non intende svolgere più un ruolo di mediatore attivo tra israeliani e palestinesi, alla luce degli insuccessi del passato e con un negoziato ormai in stallo da anni. “Siamo molto attenti nel fissare degli obiettivi, in particolare in Medioriente, dove le amministrazioni si sono cacciate nei guai promettendo la Luna, sprecando tempo e risorse”, ha spiegato un funzionario dell’Amministrazione Biden citato dalla Cnn. “Se lanciassimo un processo di pace, non ci sarebbe nessuno al tavolo”, ha aggiunto, “se le parti sono pronte a parlare, noi siamo sempre lì pronti a dare un aiuto, ma non creeremo aspettative che non possono essere mantenute”.

Nel fotografare la realtà, da parte dell’Amministrazione Usa non è però passato inosservato il segnale dei giorni scorsi, quando il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha telefonato al neo premier Yair Lapid per congratularsi per la sua nomina: il primo contatto diretto tra le due leadership negli ultimi 5 anni. Da parte Usa si fa notare anche lo sblocco di 500 milioni di dollari a favore dei palestinesi e gli ulteriori 100 milioni di dollari che verranno destinati alla sanità palestinese, quando Biden farà visita a un ospedale di Gerusalemme Est. La leadership di Ramallah chiede però che vengano fatti altri passi rispetto al congelamento dei rapporti sperimentato durante l’Amministrazione Trump, come la riapertura di un consolato Usa a Gerusalemme dedicato ai palestinesi, una mossa osteggiata da Israele. A turbare i rapporti con i palestinesi è anche la vicenda dell’uccisione in Cisgiordania della giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh lo scorso maggio. Secondo Washington, la corrispondente di Al Jazeera venne “probabilmente” colpita a morte da un proiettile sparato da un militare israeliano, ma il dipartimento di Stato si è finora astenuto dal condannare apertamente lo Stato ebraico, come invece chiedono i palestinesi.

Infine, il tema che sarà al centro dei colloqui di Biden sia in Israele che a Gedda, in Arabia Saudita, dove parteciperà a una riunione del Consiglio di cooperazione del Golfo: l’Iran. La questione della minaccia nucleare di Teheran è stata citata sia dal presidente israeliano Isaac Herzog che dal premier Lapid nei loro discorsi di benvenuto all’arrivo di Biden in Israele. Il presidente Usa non ne ha finora parlato apertamente. In un briefing sull’Air Force One, il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ha sottolineato che per Washington quella diplomatica rimane la “strada migliore” per riportare l’Iran al tavolo del negoziato e per resuscitare l’accordo del 2015, abbandonato da Trump. Sullivan ha però nuovamente insistito sulla “minaccia” rappresentata dalla “crescente” alleanza tra Teheran e Mosca, dopo che alcuni rapporti di intelligence hanno evidenziato l’interesse russo per l’acquisto dei droni da attacco iraniani, da impiegare nella guerra in Ucraina. Non è un caso che come primo atto della sua visita in Israele Biden, dopo avere ricordato “l’incrollabile impegno” per la sicurezza di Isarele, abbia partecipato a un briefing sul sistema israeliano di difesa antia aerea Iron Dome, finanziato da Washington, e sul nuovo sistema laser Iron Beam, sviluppato dai due Paesi.

(LaPresse/Marco Liconti)

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome