NAPOLI (Roberto Aiello) – E’ il 21 dicembre 2021. Gli allevatori bufalini si girano e rigirano tra le mani un documento. Quasi due anni di corpo a corpo con l’Asl per averlo. Sì, perché quella “carta”, resa ai magistrati samaritani dopo mille resistenze, quelle quattro paginette ufficiali, sebbene colpevolmente incomplete ma con tanto dal timbro dell’Asl di Caserta, confermano i loro sospetti: oltre 100 mila capi bufalini sono stati abbattuti dal 2011 in Terra di Lavoro per sospetta brucellosi o tubercolosi. Un sospetto, rilevato però da prove indirette, sierologiche. Insomma un “indizio” che nel 97 per cento dei casi, come certifica la stessa Asl che di quei capi ne aveva sentenziato la condanna a morte, non troverà conferma negli esami, obbligatori, post morte.
“UNA STRAGE INGIUSTIFICATA”, sosterranno dunque gli allevatori casertani che di lì a poco, già reduci da durissime battaglie nei tribunali e riunitisi in un movimento sempre più vasto, daranno vita a durissime manifestazioni di protesta, a cortei di trattori e a blocchi stradali che gli costeranno un processo dal quale verranno assolti. Un prezzo alto che li ha visti pronti a pagare pur di avere verità e giustizia. Ma è un film già visto. Visto nel 2007. Ma al tempo bastò commissariare la Campania e l’emergenza rientrò in buon ordine in meno di tre anni, Fino al 2014 a commissariamento rientrato, all’affidamento della gestione delle politiche zootecniche alla Regione. La storia è nota: da allora le infezioni bufaline, sebbene non particolarmente pericolose per l’uomo, sarebbero ritornate ai livelli del 2007. E saranno poi le inchieste giornalistiche, soprattutto di Fanpage, di Report, di Far West e, ovviamente, di Cronache di Caserta a svelare, all’esito drammatico delle politiche deluchiane degli abbattimenti nel Casertano, quelle comunque finite intanto sotto la scure di interrogazioni e denunce politiche portate in Regione, a Roma e a Bruxelles, alcuni dettagli inquietanti di questa vicenda. A partire dalla verosimile (certa, secondo gi allevatori casertani) violazione delle norme nazionali e europee (che confluiranno nella Direttiva Ue 689/2020) che chiedono prove ben più dirette, articolate e rigorose per poter abbattere bufale ancora oggi macellate sulla base di un “sospetto sierologico”.
C’È UN ACCANIMENTO INGIUSTIFICATO O INTERESSATO? C’è davvero stata, come raccontato dalla squadra Rai di Sigfrido Ranucci, un svendita obbligata delle carni degli animali abbattuti (perché la brucella non le tocca e la carne è sana), a circa un terzo del loro valore, ad una multinazionale con sede in Irpinia, la Realbeef del gruppo Cremonini che produce scatolame di misto bovino? E, poi: perché tutti gli allevatori colpiti dagli abbattimenti decidono di portare i loro capi a quel macello, in una provincia diversa, nonostante non ne manchino nella loro?
GLI INTERROGATIVI RESTANO. Gli allevatori non parlano ma la stampa, almeno in parte, sì. Così, la Realbeef decide, sotto la pressione dei media, di non prendere più carne dei capi abbattuti nel Casertano. Ma il dado è tratto, le aziende hanno chiuso i battenti e continuano a chiudere e la battaglia degli allevatori continua in tutte le sedi perché la Regione di De Luca non intende cambiare politica.
La battaglia continua perché, nonostante il clima si faccia sempre più pesante, le oltre 300 aziende andate a gambe all’aria gridano giustizia. Ed è braccio di ferro. Ed è così che a maggio 2022 De Luca si assicurerà che il suo Piano degli abbattimenti, messo a punto con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Portici guidato da Antonio Limone con l’assenso delle allineate Coldiretti, Cia, Confagricoltura e Copagri, potrà procedere senza intoppi. Come? Con la nomina di un Carabiniere, il Generale Luigi Cortellessa, a Commissario straordinario regionale per l’attuazione delle politiche regionali di eradicazione della brucellosi e della tubercolosi bufalina.
Le ordinanze di abbattimento per sospetta infezione non si fermano. Non si contano i ricorsi al Tar con alterne fortune. Ma è il Consiglio di Stato che, almeno sulla tubercolosi bufalina, dopo aver nominato una commissione verificatrice sul campo, blocca diverse ordinanze di abbattimento perché le metodiche diagnostiche utilizzate – volendo semplificare – possono facilmente scambiare una sindrome respiratoria, un raffreddore, per tubercolosi. E ribadisce che non si può ordinare ad un allevatore, peraltro già in difficoltà con le mille nuove regole sulla biosicurezza, di abbattere, di azzerare, la propria stalla senza prove concrete, senza essere certi di aver isolato il morbo.
Intanto chi ha chiuso si dispera: le possibilità che possa ripopolare la propria stalla sono prossime allo zero: le esposizioni bancarie messe in piedi per attuare le nuove regole sulla biosicurezza diventano un ostacolo insormontabile. Gli indennizzi, che non potranno coprire che meno della metà della perdita economica, arrivano col contagocce. Qualche allevatore aveva persino dimenticato di aver prodotto domanda, qualcun altro, nel frattempo, è morto. Come ammetterà lo stesso generale Cortellessa costretto ad aprire gli armadietti delle Asl per tirar fuori le pratice.
PALAZZO MADAMA, 19 FEBBRAIO 2023. La dura vertenza bufalina Casertana sembra arrivare ad una svolta. In Senato si vota il Milleproroghe e tra gli Ordini del Giorno presentati in coda ne spunta uno, il G 452/7/1 e 5, a firma della senatrice Giovanna Petrenga di Fratelli d’Italia. Impegna il governo a dare una svolta alle politiche zootecniche. Prevede che i Piani di eradicazioni della brucellosi e della tubercolosi li preparino su base provinciale i ministeri della Salute e dell’Agricoltura, applicando rigorosamente le norme europee che distinguono i casi sospetti (e le relative misure) da quelli confermati. Istituisce un tavolo di monitoraggio e controllo. Garantisce all’imprenditore (che ha tutto l’interesse alla salute del proprio bestiame) il principio l’autocontrollo riconoscendolo come Osa, operatore per la sicurezza alimentare. Ma non solo. Il documento Impegna il Governo a riscrivere le regole di una rigorosa tracciabilità del latte di bufala a partire dalla stalla, per garantire i consumatori ma anche per smantellare la piaga delle frodi, in attuazione dei principi delle norme europee del Regolamento 623/2017. Il documento sottoscritto dal presidente della Commissione agricoltura Luca De Carlo, oltre che a da tutti e cinque senatori campani di Fratelli d’Italia (Giovanna Petrenga, appunto, Sergio Rastrelli, Antonio Iannone, Giulia Cosenza e Domenico Matera) viene approvato all’unanimità con parere favorevole del governo.
Ci vorrà un anno e mezzo di tempo, scandito da ulteriori battaglie sindacali, giudiziarie e politiche, perché il Governo muovi una foglia: il 20 agosto 2024 il ministero della Salute ufficializza infatti la nomina di un atteso Commissario straordinario nazionale, il direttore dell’Istituto Zooprofilattico di Terni Luigi D’Alterio che dovrà occuparsi della brucellosi bovina, bufalina, ovina e caprina, e della tubercolosi bovina e bufalina in tutto il Paese. Nel casertano c’è chi esulta comunque (“Qualcosa si muove”) e chi non nasconde il proprio scetticismo. Il tempo dirà.
LATTE IN SVENDITA. Ma intanto una nuova e probabilmente più pesante tegola torna ad abbattersi sugli allevatori bufalini, questa volta anche salernitani: la decisione dei produttori di mozzarella di bufala campana Dop, cioè di non pochi tra i più facoltosi caseifici campani, di pretendere un ribasso del prezzo del latte di bufala alla stalla, pena la mancata proroga dei contratti di acquisto. I frigo, sostengono, sono già pieni di latte congelato e si sa, non si può utilizzare per la mozzarella Dop.
E’ l’ennesimo colpo mortale ai danni degli allevatori bufalini, già prodotto egualmente nel 2014, che torna a consumarsi oggi nel silenzio o quasi dei sindacati (sono in pochi quelli che gridano allo scandalo) e del Consorzio di Tutela della Mozzarella di bufala Dop. Quest’ultimo pronto a ritentare la carta della modifica del disciplinare dell’oro bianco, manovra già respinta dal ministero dell’Agricoltura nel maggio 2019, per consentire l’uso del latte congelato per la produzione della mozzarella Dop. E magari concedere ai caseifici la possibilità di produrre mozzarella Dop, non già “filandola” come da tradizione, ma anche per fusione in appositi macchinari a vapore, i fusori, dai quali, a parità di latte, si riuscirebbe ad ottenere una quantità maggiore di prodotto, ben 7 chili in più per quintale di latte, con buona pace di chi denuncia la possibilità di potervi infilare di tutto di più senza possibilità che le analisi possano rilevarlo. Un po’ come potrebbe accadere con il ricorso al latte congelato: nemmeno un nobel della chimica potrebbe infatti stabilire se quella mozzarella sia stata realizzata con latte fresco, come buona regola e tradizione vuole, o con un prodotto congelato.
LA DOMANDA, che si consuma tra gli interessi di alcuni e il rischio estinzione di altri in un contesto politico pressoché ignavo ed di una magistratura invocata a squarciagola da chi non ce l’ha fatta o rischia la strada, è: che fine farà l’oro bianco della Campania? E i suoi minatori? Le prossime settimane ci diranno di più.
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