Scienza, Colaiacomo: pochi investimenti, ma Italia in top 5 mondiale

Foto LaPresse - Stefano Porta

Trieste, 10 mag. (LaPresse) –

Una recente analisi sulla situazione europea della ricerca scientifica – pubblicata da Elsevier, noto colosso inglese che opera nel settore delle pubblicazioni scientifiche e si occupa di analisi di settore – offre un quadro realistico anche del panorama italiano.

Alcuni dati chiave di questo studio sono stati presentati oggi a Trieste da Claudio Colaiacomo, vicepresidente Global Academic Relations di Elsevier, nel corso di un incontro organizzato da Mib Trieste Alumni Association insieme a Tcc, Trieste Città della Conoscenza.

Lo scienziato ha parlato in maniera ragionata, discorsiva e non tecnica delle dinamiche che sottendono il sistema della ricerca scientifica italiana, cogliendo allo stesso tempo l’occasione per mostrare con quali modalità i nostri ricercatori collaborano a livello nazionale e internazionale.

Ha spiegato come, in termini di qualità e quantità, lo stato della ricerca scientifica italiana, pur con le sue criticità, non è affatto catastrofico, specie se osservato nel contesto più ampio dell’Unione Europea.

DOMANDA: Qual è lo stato di salute della ricerca italiana?

RISPOSTA: La ricerca italiana, a mio avviso, gode di un buon stato di salute. Se la misuriamo in termini di volume di produzioni scientifiche, ovvero pubblicazioni e lavori di ricerca: sicuramente produciamo veramente tanto. Siamo fra i primi cinque Paesi al mondo per quantità. Il dato più interessante è che lo siamo però anche per qualità, misurata in termini di numero di citazioni ricevute, che indicano quanto siamo rilevanti. Anche qui il livello è molto alto e l’Italia è nella ‘top five’ mondiale. Quindi per quanto riguarda la produzione scientifica la ricerca italiana gode di uno stato di salute che tende addirittura all’ottimo più che al buono.

D: Quali sono i punti di forza e di debolezza della ricerca italiana rispetto al panorama europeo?

R: L’Italia ha un paio di caratteristiche molto interessanti. Innanzitutto è un ottimo collaboratore con l’esterno: noi vediamo che i risultati di ricerche pubblicate da altri Paesi, quando sono in collaborazione con l’Italia, raggiungono risultati molto più alti della media europea. Noi siamo quindi ottimi partner di collaborazione internazionale.

Un’altra nostra abilità caratteristica, figlia forse dell’arte di arrangiarsi, è che nonostante un finanziamento non ai livelli degli altri Paesi europei, l’Italia riesce ad avere più successo nel produrre ricerca scientifica di livello.

Quindi, nonostante il finanziamento ridotto, abbiamo una sorta di ritorno di investimento che è di livello superiore rispetto a nazioni come la Germania, la Francia e per molti versi anche gli Stati Uniti.

D: Che relazione c’è fra economia e ricerca scientifica in Italia? R: La ricerca scientifica è uno dei driver del sistema economico. Un lavoro scientifico, anche se tratta di temi generici della fisica o della chimica, mette in modo un sistema che va a supportare il sistema Paese da un punto di vista tecnologico, che significa ad esempio brevetti o nuove scoperte.

C’è quindi una relazione diretta fra ciò che si produce scientificamente e quanta tecnologia il Paese riesce a produrre e ad esportare.

L’altra relazione fondamentale è il finanziamento della ricerca, cioè quanti fondi il governo decide di dare alla ricerca scientifica italiana e quindi all’università. Come dicevo prima questo è un dato che ci vede agli ultimi posti in Europa: noi investiamo pochi punti percentuale del Prodotto Interno Lordo rispetto ad altri Paesi. E questo stacco negli ultimi anni è aumentato del 6-7%, quindi non c’è un investimento strutturale serio e proiettato verso il futuro, come avviene in alte nazioni come per esempio la Cina, la Corea o la Russia, dove hanno proprio dei progetti politici per finanziare la ricerca sempre di più e i risultati si iniziano a vedere.

D: Quali sono gli esempi più virtuosi in Italia? Ce ne può fare alcuni? R: Visto che oggi siamo qui nel Nordest, l’università di Trieste è un grande esempio di virtuosismo scientifico per la qualità della produzione.

In media, produce ricerca del 10% migliore della media nazionale. Questo è dovuto sicuramente anche alla posizione dell’università – collocato all’interno di una regione ben dotata di centri di ricerca di ogni livello – e anche alla propensione a collaborare con l’esterno: il 50% circa delle ricerche pubblicate dall’ateneo triestino sono in collaborazione con un ricercatore che fa capo a un’istituzione straniera. Questo è un altro motivo di orgoglio di questa zona, della nostra nazione ma anche del fatto che la nostra ricerca poi è migliore.

Altri esempi che possiamo fare riguardano la media nazionale della qualità della ricerca scientifica: siamo al 50% sopra la media mondiale. Diventa particolarmente interessante se notiamo che avviene in tutte le aree di ricerca e soprattutto nelle scienze dure come la fisica, la chimica, l’ingegneria: in tutti questi settori superiamo di gran lunga la media mondiale.

D: Alcuni hanno sostenuto che la ricerca italiana sia di ‘sinistra’, lei che cosa ne pensa?

R: Se chiediamo a un ricercatore, vediamo che ha una vita molto difficile seppur estremamente interessante. Credo che dare un colore alla ricerca scientifica abbia poco senso. Si dice che la cultura appartiene tradizionalmente più alla sinistra che alla destra, ma come abbiamo visto prima, se analizziamo i dati, c’è un legame enorme fra l’accademia e i risultati scientifici, che sono un volano per l’industria. Quindi, sinistra o destra che siano, sono due mondi che comunque, almeno nella ricerca scientifica, collaborano insieme dall’inizio alla fine per un successo anche economico.

D: È un fenomeno negativo la fuga di cervelli? L’Italia ci perde?

R: Citerei un dato molto interessante, siamo rimasti sorpresi anche noi quando l’abbiamo analizzato: in Italia la fuga di cervelli si limita a un numero di ricercatori che corrisponde a circa 10% del totale. Questa informazione da sola forse ci dice poco ma se lo paragoniamo ad altri Paesi, vediamo che siamo fra quelli che esportano meno cervelli in Europa. Per esempio, l’Olanda esporta molti più cervelli di noi. La differenza sta nel fatto che in Italia non vediamo la fuga di cervelli come un dramma perché esportiamo conoscenza. Il dramma c’è se il ricercatore è costretto ad andare fuori se non riesce ad essere finanziato, ma da un punto di vista di qualità della ricerca scientifica e di qualità del lavoro svolto, invece, un ricercatore che va all’estero, probabilmente, collabora col Paese che ha lasciato, quindi in questo caso un italiano continua a collaborare con l’Italia, quindi aiuta le istituzioni nazionali a collaborare internazionalmente, migliorando la qualità della ricerca scientifica prodotta. Quindi direi che i cervelli sono in movimento, non userei il termine ‘fuga’ perché suggerisce l’immagine di un abbandono nave prima che affondi ma non è assolutamente così.

D: Che cosa succede nel resto del mondo? Dobbiamo temere, ad esempio, la concorrenza asiatica?

R: Parlare di concorrenza nella ricerca scientifica sì, lo possiamo fare ma ricordiamoci che se la cura di una malattia particolarmente difficile da trovare viene trovata in Cina o in Giappone, ne guadagnami tutti quanto, quindi bisogna relativizzare il concetto di competizione.

Se guardiamo alla Cina, ad esempio, vediamo che nell’ultimo decennio ha iniziato a produrre molto di più, pur tenendo la qualità piuttosto bassa.

Negli ultimi tre anni, la qualità dei lavori prodotti dai cinesi è migliorata esponenzialmente, quindi ora i ricercatori italiani si trovano a poter collaborare anche con i ricercatori cinesi, cosa che 15 anni fa non si faceva. Da un certo punto di vista sono quindi nuovi competitor però, dal punto di vista della conoscenza umana nella scienza, meno male che è così.

D: Qual è la prospettiva nel 2020 per Trieste città della Scienza?

R: È una grandissima opportunità per mettere in vetrina la ricerca italiana e la qualità delle nostre università. E lo è in particolare per questa parte di Nordest, dove così tante istituzioni anche internazionali collaborano insieme. Quindi credo sia insieme un’occasione da sfruttare sia a livello locale che nazionale perché gli occhi del mondo saranno puntanti qui.

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