Roma (LaPresse) – È fissata alle 11 l’udienza finale del processo a Virginia Raggi che deciderà il futuro della prima cittadina e del Campidoglio a cinque stelle.
La procura accusa la sindaca di Roma di falso ideologico in atto pubblico e ne chiede la condanna a dieci mesi di carcere. Quel che davvero rischia Raggi non è di andare in prigione perché, anche se condannata, la pena sarebbe sospesa ma di esser costretta alle dimissioni.
Codice etico M5S alla mano, infatti, qualunque ‘portavoce’ eletto deve lasciare l’incarico se condannato in primo grado di giudizio.
Raggi è imputata per aver dichiarato alla responsabile anticorruzione del Campidoglio di aver deciso, lei sola, ogni dettaglio della nomina di Renato Marra, fratello del capo del personale Raffaele, a capo della direzione Turismo. Questa circostanza, secondo la procura, sarebbe smentita dalle conversazioni via chat. Lì rimproverò, a posteriori, Raffaele Marra per la posizione e la nuova fascia di compenso del fratello. La sintesi la fa il pm Francesco Dall’Olio: “Marra ci ha messo la manina, anzi la manona, ma la sindaca sapeva”. E su questo le prove sono “univoche e convergenti”.
Grande attesa per l’esito del processo
Secondo la procura, Raggi avrebbe mentito per difendere il capo del personale, suo strettissimo collaboratore: “Era l’uomo che faceva girare la macchina del Campidoglio e per questo andava protetto”, ha detto ieri nella requisitoria il procuratore aggiunto Paolo Ielo. Che prosegue: “Inoltre un’indagine per abuso di ufficio su Marra poteva portare, a cascata, a una indagine sulla sindaca. E per il codice etico M5S allora in vigore, Raggi a quel punto rischiava di doversi dimettere”.
“Era una questione che, a soli cinque mesi dalle elezioni, generava un problema che metteva a rischio la carica – ha aggiunto Ielo -. Questo spiega il movente di quel falso: esiste, è articolato ed è imponente”.
La sindaca di Roma controbatte evidenziando che, in tali circostanze, “l’espulsione non è mai stata applicata, perché sia Nogarin che Pizzarotti, quando indagati, non furono espulsi. E Pizzarotti lo fu perché omise l’indagine”.
Appuntamento alle 11 nell’aula decima collegiale con l’arringa difensiva dei legali della sindaca, Emiliano Fasulo e Francesco Bruno, poi la camera di consiglio e la sentenza del giudice Roberto Ranazzi che deciderà le sorti del Campidoglio.