Entro il 2050 tra i 25 milioni e il miliardo di persone potrebbero essere costrette a spostarsi per criticità ambientali indotte anche dai cambiamenti climatici. E’ l’allarme lanciato da Legambiente in un dossier sui cosiddetti ‘migranti ambientali’, che restituisce anche un quadro dei flussi migratori in Italia correlati direttamente o indirettamente alla crisi climatica. Stress ambientali e conflitti sono causa o concausa della fuga dal proprio Paese per circa il 70% dei migranti giunti in Italia negli ultimi 4 anni. I cambiamenti climatici non sono e non saranno uguali per tutti nonostante le modificazioni già in atto nell’atmosfera che, senza un’inversione di rotta, porteranno a scenari globali sempre più drammatici.
E’ una questione dipendente dalla complessità di variabili ambientali e sociali che si intrecciano in maniera inestricabile provocando trasformazioni radicali, in un ricorrente rapporto causa-effetto: dall’innalzamento delle temperature e dalla perdita e la dissoluzione dei servizi ecosistemici, all’impoverimento dei suoli e all’accaparramento delle risorse, fino ai conflitti, alle prevaricazioni sociali e alle persecuzioni politiche, etniche e religiose. Nonostante le analisi dell’Onu parlino sempre più di crescita esponenziale del numero di persone costrette ad abbandonare il proprio luogo di vita per disastri ambientali e climatici non esiste una rilevazione quantitativa del migrante ambientale e climatico perché questa figura non è riconosciuta nella legislazione internazionale. Abbiamo invece un quadro internazionale più chiaro dei cosiddetti sfollati interni (persone costrette a lasciare le proprie terre e che rimangono all’interno dei confini nazionali), per i quali cause come terremoti, inondazioni, desertificazione, siccità, incendi, rappresentano le cause più diffuse.
PAGANO I PAESI PIU’ POVERI
Sono sempre i Paesi poveri e i poveri dei Paesi ricchi a pagare il prezzo più alto e a rischiare di più. Migrare troppo spesso diventa l’unica risposta a queste complessità che gli uomini e le donne mettono in atto per potersi assicurare un futuro migliore e troppo spesso anche la sopravvivenza. Solo l’anno scorso si sono registrati 40 milioni e mezzo di nuovi sfollati interni, di cui 30 milioni e 700 mila persone sono state obbligate a fuggire a causa di disastri ambientali; 9 milioni e 800 mila persone a causa di violenze e conflitti.
EVENTI ESTREMI
Anche se non tutti gli eventi meteorologici estremi, quali inondazioni, tempeste e siccità, che a oggi causano oltre l’89% di tutti gli sfollamenti dovuti a calamità naturali, possono essere ricondotti ai cambiamenti climatici, questi rappresentano un importante fattore di stress ecologico. Secondo l’Idmc, infatti, se la popolazione mondiale dovesse rimanere al livello attuale, il rischio di spostamenti dovuti alle inondazioni aumenterebbe del 50% per ogni aumento di un grado centigrado delle temperature globali.
IN ITALIA
Secondo il Ministero dell’Interno, nel 2020, gli arrivi di migranti via mare ammontano a oltre 34 mila persone. I Paesi di provenienza più ricorrenti negli sbarchi sono, in ordine decrescente, la Tunisia, il Bangladesh, la Costa d’Avorio, l’Algeria, il Pakistan, l’Egitto, il Sudan, il
Marocco, l’Afghanistan e l’Iran. Negli ultimi 4 anni quasi il 38% delle nazionalità dichiarate dai migranti sono riconducibili all’area del Sahel, regione che è attraversata da una vera e propria tempesta ambientale e sociale, tra l’avanzare della desertificazione, l’accaparramento delle risorse e i conflitti anche di matrice terroristica. Se invece consideriamo anche le altre aree prese in esame dall’Idmc almeno il 68% dei migranti sbarcati sulle coste italiane dal 2017 al 2020 provengono da aree ad alta o altissima vulnerabilità ambientale, come la Costa d’Avorio. Per Legambiente il quadro generale risulta abbastanza chiaro: possiamo ritenere, con ragionevole possibilità di non andare troppo lontani dalla verità, che almeno il 76% dei flussi migratori che verso il nostro Paese sono dovuti a cause o concause ambientali.