NAPOLI – Può sembrare un aspetto irrilevante nella lotta all’inquinamento del Pianeta, ma non lo è affatto. Parliamo dell’attenzione che ciascuno di noi dovrebbe porre nei confronti della moda ‘green’. Anche la scelta del capo di abbigliamento rientra nei tantissimi comportamenti ecologici da assumere oggi, nell’era della risvegliata consapevolezza del rischio ambientale che corre la nostra Terra.
Partiamo da una tendenza che sta spopolando online: la mania del dupe, ovvero del ‘falso’. Tantissimi influencer di tutte le nazionalità, stanno promuovendo un modo di fare shopping basato sulla convenienza, che mira, quindi al risparmio. Su TikTok, principalmente, ma anche su YouTube, giovanissimi seguiti da migliaia di follower pubblicano dei video in cui mettono a confronto due capi d’abbigliamento quasi identici, ma appartenenti a due marchi differenti. Il primo, di un brand noto, ha un prezzo molto più alto del secondo, di un brand, invece, che propone merce a prezzi stracciati. In pratica, se in un negozio adocchiamo un maglione che costa 50 euro, online lo stesso identico prodotto, ma di qualità molto più scadente, costa meno della metà.
Se è vero che si risparmia sul momento, gli effetti negativi di questa modalità di acquisto sono molteplici. Innanzitutto si assiste a un abbassamento della qualità dei prodotti: più economico significa quasi sempre più scadente. E tanto più un capo è mediocre, quanto prima dovremo liberarcene, perché sarà soggetto a un logorìo molto più rapido di un capo dalla qualità buona.
Acquistando vestiti dalla qualità mediocre, quindi, non facciamo altro che ingolfare più in fretta il ciclo di rifiuti dello shopping.
E’ indubbio che il mercato degli oggetti falsi è sempre esistito, ma oggi c’è una grossa differenza rispetto al passato, che si chiama internet. Capace di diffondere senza limiti il messaggio secondo cui la contraffazione sia qualcosa di estremamente conveniente. Un disastro ecologico portato avanti dai sopra citati influencer (a loro volta finanziati dai brand minori per far loro pubblicità) e dal circuito della ‘fast fashion’. Un’espressione inglese (tradotto in italiano: ‘moda veloce’) estremamente dannosa per il Pianeta e per la stessa economia globale. Oltre alla produzione di abiti dalla qualità mediocre che durano poco più di una stagione prima di essere gettati e sostituiti con capi nuovi (da qui la nascita dell’espressione ‘moda veloce’), questi vestiti sono realizzati con materie prime plastiche e tinture inquinanti, senza nessun tipo di controllo di qualità né alcun freno all’impatto ambientale che essi possono avere. Senza contare che, lavaggio dopo lavaggio, questi capi rilasciano nell’acqua pericolose microplastiche altamente inquinanti. Si tratta di grosse aziende con sedi in Paesi spesso poveri, dove la manodopera è costituita da centinaia di lavoratori (spesso anche minorenni) sfruttati e costretti a lavorare per una paga misera.
E una volta realizzati, questi vestiti vengono spediti in tutto il mondo tramite mezzi di trasporti anch’essi altamente inquinanti (aereo su tutti). Insomma, un solo clic per acquistare un top o un pantalone dal prezzo vantaggioso, contribuisce ad avvelenare il mondo. Pochi euro risparmiati da noi si trasformano quindi in una grande somma che il Pianeta paga per ciascuna scelta sbagliata da parte del consumatore. Che è chiamato oggi a compiere scelte consapevoli e in linea con la difesa dell’ambiente.
Oggi sono sempre più numerosi i brand che hanno compiuto grandi passi in direzione di una moda ecosostenibile, etica e responsabile. Anche realizzando prodotti riportanti scritte ecologiste che incitano chiunque le legga ad assumere un comportamento green: una sorta di ‘pubblicità’ itinerante del messaggio ambientalista. In questa direzione va la nascita di app e piattaforme per il riciclo di capi usati, tramite lo scambio o la vendita, a basso prezzo, di vestiti e accessori a cui donare, così, una seconda vita.
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