Ballon d’essai

“Ballon d’essai” è un termine mutuato dal francese che si traduce in “pallone di prova”. Si riferisce ad un metodo che veniva utilizzato dai pionieri del volo quando, a bordo delle mongolfiere, dovevano saggiare la direzione del vento. In termini giornalistici, viene oggi usato per identificar una notizia “dal sen fuggita” per verificare l’orientamento dell’opinione pubblica su un argomento lasciato appositamente trapelare. In politica non è raro che una forza politica usi questo stratagemma per avere contezza di quanto quella determinata “questione” risulti gradita o meno sia alla maggioranza parlamentare che sostiene il governo sia presso l’opinione pubblica. In genere si tratta di un sistema levantino, una furbizia tattica per sondare le reazioni su elementi divisivi oppure su questioni che possono destare una certa reazione nel popolo. Il “ballon d’essai” stavolta riguarda la delega fiscale che il governo, guidato da Mario Draghi, si accinge a sottoporre al voto del Parlamento. Esso si compone, sostanzialmente, di tre provvedimenti concatenati. Il primo è l’attuazione del decreto concorrenza. Il secondo consiste nella delega fiscale vera e propria per incidere sulle aliquote tassabili e sul gettito delle “gabelle”. Il terzo è quello più spinoso e riguarda l’adeguamento degli estimi catastali, ovvero del valore commerciale degli immobili da sottoporre poi a tassazione. Riforme che, a detta del presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentano dei capisaldi indicati nel Piano Nazionale di Recupero e Resilienza sulla base dei quali si darà, poi, il via libera alle successive erogazione dei fondi messi a disposizione da Bruxelles e da spendere secondo le linee di indirizzo concordate. Non è quindi roba da poco né tantomeno uno dei tanti provvedimenti legati alla fase progettuale connessa al Pnrr, quanto la profonda revisione degli assetti che in Italia regoleranno la concorrenza nel mercato, l’entità delle tasse da pagare (sulla base delle deduzioni fiscali indicate dal governo) e l’aggiornamento stesso del catasto che langue da decenni tra le riforme di sistema Italia. La Lega, sempre più forza di opposizione e di governo al tempo stesso, recalcitra per dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, in particolare costituendosi, quando occorre, come alter ego di quella maggioranza nella quale pure si è riconosciuta col governo tecnico dell’ex governatore della Bce. Il pungolo del partito di Giorgia Meloni alla propria destra, che erode consensi grazie al monopolio dell’opposizione, si fa sentire nei sondaggi e quindi il “Capitano” corre ai ripari. La partita in gioco è altissima. Milioni di famiglie proprietarie della casa nella quale abitano, verrebbero sottoposte ad un maggior onere derivante dagli estimi catastali aggiornati oltre che dalla maggiore efficienza dei catasti urbani. Questi ultimi sono luoghi ove è quasi impossibile districarsi, nella confusione in cui versano e soprattutto per le mancate verifiche sulla congruità delle dichiarazioni rese dai proprietari nel corso dell’accatastamento dei loro immobili. Un argomento, dunque, che muove grandi attenzioni nel Paese ove si è sempre investito nel mattone e dove oltre l’80 percento dei cittadini gode della casa di proprietà. Milioni di voti che si sposterebbero secondo la convenienza dei contribuenti ancorché la revisione degli estimi non produrrà per il momento variazioni di contributi da versare all’erario. Tuttavia la gente ben capisce che prima o poi lo Stato esigerà il conto ed i bilanci familiari ne risentiranno non poco. Il governo quindi ritiene questa riforma essenziale ed annuncia che non si ammetteranno franchi tiratori nelle file della maggioranza. Ora, se questo è il governo tecnico e riformista, allora occorre dire che non è molto dissimile da quelli che lo hanno preceduto né si vede come possa vedere la luce un riformismo serio e non solo di facciata. Saremmo anche ripetitivi e noiosi ma il parlamento uscito dalle elezioni col proporzionale è un foro boario con decine di gruppi parlamentari che al momento opportuno tirano i remi in barca. Il governo senza l’ausilio di una maggioranza coesa, uscita (e sacramentata) dal responso elettorale e dal programma ratificato dagli elettori, viene tirato per la giacca ogni giorno. Pensare di inasprire il proporzionale significa perpetrare il bailamme identitario di tante liste che, dopo la fase elettorale di scontro, dovranno necessariamente trovare una forzosa sintesi al ribasso per garantire una maggioranza ad un governo. La logorrea dei protagonisti, il solipsismo dei singoli partiti, non tiene in nessun conto le regole del gioco e gli effetti destabilizzanti che produce dopo il gran ballo dell’urna. Scomodare Mario Draghi per finire nelle solite diatribe che confermino l’immobilismo come dato costante del governo è uno spreco. Il vero “ballon d’essai” non è un espediente tattico ma l’impotenza perpetua.

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