NAPOLI – Certo, a Napoli la contraffazione ha generato per anni un indotto da capogiro che è andato a foraggiare le casse della criminalità organizzata. Certo, non esistono solo le fabbriche di giacche, borse in finta pelle, trapani elettrici o prodotti hi-tech. Certo che una parte consistente dell’indotto del ‘falso’ riguarda anche la produzione parallela di banconote e monete, ma da qui a dire che la ‘zecca’ della criminalità partenopea produca “l’80 per cento delle banconote contraffatte su scala mondiale” ne passa. Eppure è questo il messaggio che passa dopo che è stata pubblicata un’intervista al colonnello Francesco Ferace, numero uno dell’Afm, un reparto specializzato nel contrasto ai reati di falsificazione monetaria.
Il reparto Afm dei carabinieri
Titolo roboante “L’80% degli euro contraffatti nel mondo arriva da Napoli”, ma a leggere bene, sembra che le cose non stiano proprio così. Ci sono dei gruppi che, tra Napoli e Caserta, sembrano essere costituiti da veri e propri professionisti, ritenuti “responsabili dell’80 per cento della falsificazione mondiale”, noti come ‘Napoli Group’. Ma lo stesso colonnello specifica che non significa che tutti i pezzi contraffatti siano ‘Made in Naples’. Le ‘zecche’ parallele (dislocate ovunque), piuttosto, prenderebbero le mosse da questa sorta di ‘scuola’ campana, mutuandone metodo e procedimenti di lavorazione. Un po’ di disattenzione dunque, nel sottolineare questo nuovo ‘primato’ negativo del capoluogo campano. Si tratta di sfumature. Resta tuttavia che la diffusione di banconote contraffatte si a un fenomeno che ha assunto dimensioni emergenziali. Quali sono i pezzi più ‘copiati’? Soprattutto quelli che uno guarda meno.
Quando le monete erano solo ‘spiccioli’
I 20 euro, i dieci, ma anche i tagli da 50 e le monete da uno, due euro e da cinquanta centesimi, quelle che non guarda quasi nessuno quando prende un resto. E’ una sorta di retaggio duro ad estinguersi. Con le lire le monete erano considerate ‘spiccioli’, a chi sarebbe convenuto falsificarle?