Camorra: colpo a clan casalesi, fra 37 arresti anche figli boss Bidognetti

Il blitz è scattato all'alba: in manette, tra carcere e domiciliari, sono finite 37 persone, tutte riconducibili e elementi apicali delle fazioni Schiavone e Bidognetti del clan dei casalesi.

Photo Adriana Sapone/LaPresse

 Il blitz è scattato all’alba: in manette, tra carcere e domiciliari, sono finite 37 persone, tutte riconducibili e elementi apicali delle fazioni Schiavone e Bidognetti del clan dei casalesi. ‘Nuove leve’ della camorra che provavano a rinsaldare radici malavitose nel territorio casertano, ma che sono state tagliate dall’operazione portata avanti per oltre 3anni e mezzo dall’Antimafia partenopea, diretti dalla procura di Napoli. Sono 45 in totale gli indagati nell’ambito dell’operazione condotta dalla Dda napoletana. Le fazioni intendevano mantenere l’equilibrio raggiunto dopo anni di faide sanguinarie per il controllo del territorio, uno status quo da preservare, al punto da immaginare una cassa comune per sovvenzionare le attività delle due fazioni del clan (la terza è la ‘famiglia Zagaria’, non coinvolta nell’operazione di oggi).

Arrestate tra gli altri, anche le figlie di Francesco Bidognetti, storico capoclan detto ‘Cicciotto ‘e mazzanotte’. Le due donne, Katia Bidognetti, classe ’82, e la sorella Teresa, classe ’90, stando alle indagini, percepivano una sorta di rendita, per la loro appartenenza alla famiglia. Il fratello Gianluca Bidognetti, detto ‘Nanà’, invece, dal carcere di Terni, impartiva ordini per la gestione delle attività a Lusciano, Parete e su tutto il litorale domitio, a cavallo tra le province di Caserta e Napoli. È dal carcere che, con un cellulare introdotto illegalmente, ha ordinato la morte di un affiliato che, per i suoi gusti, stava alzando troppo la cresta.

Le indagini hanno fatto luce sui nuovi protagonisti delle fazioni Schiavone e Bidognetti e i nuovi accordi criminali per la divisione del potere. Un gruppo compatto – si legge nelle carte dell’ordinanza – costituito da Sestile Salvatore (legato alla famiglia Schiavone in quanto suocero di Antonio Schiavone, fratello di Sandokan e ai giuglianesi), nonché da Giovanni Della, Romolo Corvino e Giuseppe Granata.

Le due famiglie avevano deciso, per esempio, di fare una ‘cassa comune’ per garantire lo svolgimento delle proprie attività, pur mantenendo la loro autonomia in termini operativi, economici e territoriali storicamente a loro appartenuti. Tangenti da riscuotere sulla costruzione di edifici e appartamenti, tangenti da riscuotere da imprenditori e da gestori delle ‘macchinette’ nei bar (slot machines) ai quali si possono chiedere soldi. Gli inquirenti hanno fatto luce anche su un giro di strozzinaggio con tassi di interesse fino al 240%. I loro ‘appetiti’ erano anche per gli appalti: alle ditte venivano estorte somme in denaro, calcolate in percentuale all’importo totale dei lavori, fossero per privati o per pubblici.

Dalle indagini sono emerse le mani del clan sugli affari delle pompe funebri nell’Agro-aversano, in virtù di un accordo criminale che risale agli Anni ’80 e che ha visto finire sotto sequestro diverse agenzie funebri. Per affermare la loro supremazia territoriale, non hanno mai esitato a mostrare una forza muscolare fatta di armi, intimidazioni e minacce.

Gli affari degli Schiavone, invece, sarebbero stati curati da un uomo di fiducia con il compito di curare la pianificazione e la realizzazione delle dinamiche criminali, così da controllare in maniera capillare il territorio e recuperare il denaro indispensabile per il sostentamento del gruppo. Un affiliato divenuto punto di riferimento, arbitro, in qualche modo, delle contese che nascevano non solo tra gli affiliati, ma anche tra coloro che, sebbene non contingui al sodalizio, consapevoli della sua posizione di vertice, si rivolgevano a lui per risolvere i problemi.

di Laura Pirone

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome