Campania, sanità coreana

Vincenzo D'Anna

Un aforisma di Aristotele recita “non conosciamo il vero se non conosciamo la causa”. Lo si potrebbe scolpire innanzi al brutto palazzotto che in via Santa Lucia ospita la sede della Regione Campania, ove, più che governare, regna Vincenzo De Luca che, non a caso, dopo la lunga fase commissariale per il risanamento del debito sanitario, ha mantenuto ad interim anche la carica di assessore in quel ramo. Se consideriamo che il bilancio dell’ente gestisce soldi che per oltre il 50 per cento sono destinati alla spesa sanitaria, comprendiamo bene come il loquace uomo politico salernitano tenga ben strette nelle proprie mani più della metà della spesa corrente regionale (oltre alla supervisione di quella rimanente). Una gestione che recita con piglio autoritario ancorché spesso poco autorevole, con la vocazione ad un cesarismo che mal si concilia con le intemerate rivoluzionarie del passato. Ogni settimana, logorroicamente proferisce sproloqui televisivi al fulmicotone. L’eloquio è simpatico e gli procura molta notorietà, anche grazie al tramite delle caricature nei programmi tv, che fanno il paio con gli strali che gli vengono lanciati su altri canali mediatici. Da quando diversi tra i suoi più stretti collaboratori sono finiti sotto inchiesta, e lui stesso oggetto di numerose attenzioni da parte della magistratura, lo “sceriffo” non riceve più nessuno essendosi asserragliato, con i propri pretoriani, al terzo piano del grigio edificio partenopeo. Tuttavia bandisce ed assume maxi concorsi risultati appannaggio di molti amici e parenti degli amici, scorre graduatorie nella sua Salerno per assegnare posti vacanti negli ospedali delle altre province, colloca mezze calzette ai vertici delle partecipate anch’esse spesso sotto inchiesta. Pensate: il nostro governatore boccheggiava nei consensi elettorali al termine del primo mandato, ma fortunato com’è, l’epidemia di Covid lo ha salvato. Ha potuto infatti far leva sull’accentuata presenza televisiva condita dalle iperboli verbali che tanto piacciono all’uomo della strada, e sull’ignominiosa scomparsa politica del centrodestra campano eclissatosi di pari passo con la parabola discendente di Berlusconi e dei cortigiani acefali che ne costituivano la classe dirigente. Con il passare dei mesi ha emesso, in puntuale controtendenza con le direttive del governo nazionale, una miriade di ordinanze che inasprivano i limiti ed i divieti durante la fase acuta della pandemia, fino ad invocare l’impiego di militari muniti di lanciafiamme per contrastare i cittadini non adempienti ai suoi diktat. Tuttavia le parole non potevano assumere sostanza di cose. Le bugie ed il tanto decantato sistema sanitario regionale nelle proprie mani, ha mostrato tutti i limiti e le magagne che in esso si celavano. Partiamo dalla rete ospedaliera vecchia e pletorica che l’ex sindaco non ha voluto tagliare in omaggio ai capi bastone locali ed alla demagogia populista: ospedali doppione, perlopiù deserti e disorganizzati, produttori di prestazioni di bassa complessità sanitaria, anche per mancanza di attrezzature adeguate, ma ad alta rendita elettorale. Ancora. Dopo aver criticato il debito sanitario prodotto dai suoi predecessori (leggi Bassolino) e la politica dei tagli imposti per recuperare il disavanzo (leggi Caldoro), ha prima acceso duelli rusticani con i commissari di governo inviati per risanare il debito sanitario, salvo poi accorpare a se stesso quella stessa carica. Aveva promesso che nel giro di due anni avrebbe riportato la sanità campana ai fasti di quella vantata dalle regioni del Nord Italia. Di anni ne sono trascorsi sette ma di quella epopea rivoluzionaria annunciata non v’è traccia alcuna!! Con i grandi centri ospedalieri allo stremo, gli unici in grado di poter operare con adeguatezza ed efficacia, il nostro governatore ha pensato bene di blandire le case di cura private, incorrendo però negli strali della magistratura contabile per il generoso contratto con il quale ha retribuito queste ultime per i ricoveri Covid. L’odor solfureo delle toghe gli ha fatto fare retromarcia ed ora minaccia addirittura di requisirle. Ha chiuso proditoriamente Arsan, l’agenzia sanitaria regionale, in odio al suo direttore Angelo Montemarano, e pertanto latitano i dati sulle prestazioni erogate e la relativa spesa anche delle strutture pubbliche. Insomma si naviga a vista. Chiusi gli ambulatori pubblici per Covid, senza potenziare finanziariamente il comparto privato accreditato, analisi, radiografie e visite specialistiche sono contingentate. Ma anche in questo caso i tetti di spesa (gli stanziamenti regionali) non coprono il reale fabbisogno e ci si ferma come al solito a settembre. L’ultima alzata d’ingegno è l’attribuzione di tetti economici per ogni singola struttura: modello bolscevico statalista, con fondo finanziario sempre insufficiente e con l’introduzione ex novo di liste d’attesa anche nel privato. Un provvedimento che nega la libera scelta del cittadino, che ingessa le strutture e ne blocca il miglioramento dell’offera agli utenti. Insomma il modello Corea del Nord sbarca a Napoli. La morale di tutto si riassume: chi tiene i soldi, chi non può aspettare, si curerà. Chi no si arrangi.

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