Cannabis light, la Cassazione: venderla è un reato. Non conta il Thc basso, ma l’effetto

Per la Coldiretti "serve un intervento definitivo del legislatore per tutelare i cittadini senza compromettere le opportunità di sviluppo del settore con centinaia di aziende agricole"

LP / Gareth Fuller / PA Wire

MILANO – Sulla questione dei derivati della cannabis light arrivano le motivazioni della Cassazione per fare chiarezza. “Non vale la legge sulla coltivazione per la commercializzazione di prodotti a base di cannabis sativa. In particolare foglie infiorescenze, olio, resina, ma vige il testo delle droghe (Dpr 309/90)” e quindi vendere derivati della cannabis sativa è illegale. Lo spiega la Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza del 30 maggio scorso sulla rilevanza penale della commercializzazione di prodotti derivati dalla Cannabis light. Insomma per il reato non conta un basso livello di principio attivo, il Thc, ma l’effetto drogante.

La sentenza della Cassazione

Con sentenza depositata il 10 luglio 2019, le Sezioni Unite hanno affermato che è “illecita” la “cessione”, la “messa in vendita”, la “commercializzazione al pubblico” a “qualsiasi titolo” di “foglie, infiorescenze, olio e resina” derivati dalla coltivazione della cannabis light.

Non conta la percentuale di Thc

Il Testo unico sugli stupefacenti “incrimina la commercializzazione di foglie, inflorescenze, olio e resina, derivati della cannabis. Senza operare alcuna distinzione rispetto alla percentuale di Thc che deve essere presente in tali prodotti”, si legge nelle motivazioni. In cui si rileva come “l’effettuata ricostruzione del quadro normativo di riferimento conduce ad affermare che la commercializzazione dei derivati della coltivazione della cannabis sativa L che pure si caratterizza per il basso contenuto di Thc, vale ad integrare il tipo legale individuato dalle norme incriminatrici”.

Si considera la reale efficacia drogante delle sostanze

Si impone – aggiunge la Cassazione – l’effettuazione della puntuale verifica della concreta offensività delle singole condotte, rispetto all’attitudine delle sostanza a produrre effetti psicotropi”. E “occorre verificare la rilevanza penale della singola condotta, rispetto alla reale efficacia drogante delle sostanze oggetti di cessione”.

Le motivazioni della Cassazione

Nelle motivazioni si legge di “evidenti carenze legislative” e viene ribadito il richiamo alla legge, quando, al punto 3, si pone la necessità di coordinare le disposizioni della legge 242 con il Testo unico in materia di sostanze stupefacenti. Si sottolinea che “resta ovviamente salva la possibilità per il legislatore di intervenire nuovamente sulla materia – nell’esercizio della propria discrezionalità e compiendo mirate scelte valoriali di politica legislativa –. Così da delineare una diversa regolamentazione del settore che involge la commercializzazione dei derivati della cannabis sativa L. Nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali”.

La linea della Coldiretti

E anche per Coldiretti “serve un intervento definitivo del legislatore per tutelare i cittadini senza compromettere le opportunità di sviluppo del settore con centinaia di aziende agricole che hanno investito nella cannabis. E i terreni coltivati in Italia che nel giro di cinque anni sono aumentati di dieci volte dai 400 ettari del 2013 ai quasi 4000 stimati per il 2018”.

(LaPresse/di Laura Carcano)

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