Carcere, l’affettività come via del recupero

Il Garante Campano delle persone private della libertà personale

Foto LaPresse - Vince Paolo Gerace

Gli Stati Generali dell’esecuzione penale avevano 2 tavoli, sia sullo spazio della pena, che si proponeva di individuare interventi architettonici degli Istituti presenti e di elaborare nuove configurazioni degli spazi della pena, in conformità con le direttive europee per curare in modo adeguato affetti, attività lavorative e attività trattamentali; che un altro tavolo, che si è occupato del mondo degli affetti e della territorializzazione della pena, cioè dei problemi connessi al riconoscimento e all’esercizio del diritto all’affettività del detenuto, all’esecuzione del diritto/dovere genitoriale, al mantenimento di relazioni positive con il proprio mondo familiare e affettivo legati tutti anche al principio di territorializzazione della pena, per un positivo reinserimento sociale. Queste belle cose che vi ho raccontato non sono letteratura, ma principi valoriali che non sono stati applicati successivamente al 2015, per ignavia del Governo precedente e per populismo penale da quello attuale, perché come dico sempre tra il dire e il fare non c’è di mezzo solo il mare, ma per i politici, tra il dire e il fare c’è di mezzo il coraggio. Adesso, in questa mia breve riflessione, rilancerò questi due argomenti, in direzione ostinata e contraria: Affettività e Spazi della pena.

Riflettere sullo spazio fisico del carcere, in termini anche di edilizia, può sembrare un discorso che compete soltanto ad ingegneri, architetti o tecnici. In realtà, indagare sulla dimensione spaziale, richiama la riflessione su altri temi “sensibili” come appunto la vicinanza e la distanza nelle celle (contributi significativi ci giungono dalla recente disciplina della prossemica), carenza di spazio vitale, vuoto comunicativo e relazionale ed infine la mancanza d’ igiene, diffusamente denunciata da me. Un carcere, dunque, che è l’espressione di una scelta architettonica rigida che favorisce l’isolamento e la periferizzazione. Intendo rilevare, approfittando della platea presente a codesta tavola, l’inesistenza di spazi per i colloqui, di luoghi dedicati all’incontro tra il detenuto e la sua famiglia e di spazi per praticare attività sportive e ricreative. La nota sentenza Torregiani 2013 è stata determinante sia a far emergere situazioni critiche e sia a operare un’apertura verso la vita detentiva in sé. Alla luce di quanto detto, gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, all’incirca qualche anno dopo, realizzarono un’esperienza unica coinvolgendo 18 tavoli tematici con diverse personalità inserite nell’ambito carcerario e penale, il filo conduttore, era riportare al centro dell’esecuzione penale il riconoscimento del detenuto come persona, e di conseguenza, assicurargli una vivibilità all’interno della struttura, nel rispetto della sua dignità, ovvero “di essere trattato come uomo”, da uomini suoi pari. E veniamo all’affettività. Carcere e affettività sembrano due parole inconciliabili, perché se c’è qualcosa che nega la confidenza, la libertà di espressione dei sentimenti, questo è proprio il carcere. La questione poi, pone senz’altro di fronte ad un problema etico: è giusto concedere momenti di piacere a chi, con le sue azioni, ha causato dolore ad altri? La moderna criminologia ha però dimostrato come incontri frequenti e intimi con le persone con le quali vi è un legame affettivo abbiano un ruolo insostituibile nel difficile percorso di recupero del reo. A tal proposito, diversi paesi europei hanno già da tempo introdotto, nei propri ordinamenti, apposite disposizioni normative volte a garantire l’esercizio, in ambito carcerario, del diritto personalissimo a coltivare relazioni familiari, affettive, sessuali e amicali con persone libere, destinando allo scopo spazi appositi e locali idonei. Carcere deriva etimologicamente dall’ebraico ‘carcar’, che significa tumulare, luogo senza tempo, che nega la vita; trattare di affetti in carcere e, molto di più, di sessualità, suscita critiche, imbarazzi, polemiche, oltre che perplessità. Prima facie (a prima vista), si potrebbe pensare che la sessualità sia un aspetto, un sottoinsieme dell’affettività.

Invero, sono due concetti distinti che non necessariamente si intersecano: vi può essere affettività senza componente sessuale (si pensi ad una relazione genitoriale o tra parenti in linea diretta o, ancora, ad una relazione amicale) e sessualità senza affettività, quale estrinsecazione della personalità e/o di un’autofilia (si pensi alla fruizione di materiale pornografico). Affettività e sessualità possono essere idealmente prefigurati come due insiemi, che si intersecano (con una zona relazionale comune), ma con parti parimenti distinte.

Nel carcere, in questo luogo ‘senza tempo’, vanno declinate l’affettività e la sessualità, anche per mantenere le relazioni familiari, per rafforzarle anche grazie all’intervento dei magistrati di sorveglianza che possono concedere la possibilità al detenuto di uscire più spesso dal carcere, per consentirgli di perseguire, rafforzare, tutelare e sviluppare interessi personali, familiari, affettivi, sessuali, culturali e di giustizia riparativa. Così si evitano anche le recidive.

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