Carlo Buccirosso: “Adoro scrivere le sceneggiature, ogni testo è come un figlio per me”

L'artista intervistato da "Cronache"

NAPOLI – Dallo sguardo furbetto ma dall’animo sensibile e romantico. Carlo Buccirosso, attore, scrittore e sceneggiatore partenopeo, è tra i personaggi più talentuosi della nostra scena teatrale e cinematografica. Lo abbiamo intervistato per portare sotto la lente d’ingrandimento un personaggio dalle mille sfaccettature, tanto popolare quanto imprevedibile e poliedrico. L’attore sarà in scena al Teatro Augusteo da domani e fino al 6 gennaio per la sua ultima opera “Colpo di scena”. La trama vede  in un commissariato di provincia, l’integerrimo vice questore Armando Piscitelli, interpretato da Buccirosso, condurre da sempre il proprio lavoro con la tenacia e la fede di un missionario inviato dal cielo per ripulire la terra dalle nefandezze degli uomini scellerati. Accanto a lui si barcamenano fidi scudieri per debellare ‘le barbarie di tutti i santi giorni’, una sorta di cavalieri della tavola rotonda attorno alla quale si aggirano le insidie quotidiane della delinquenza spicciola.
Cosa la gratifica di più in questo particolare momento della sua brillante carriera?
Mi piace molto dedicarmi alla sceneggiatura. Per me è come partorire un figlio per poi crescerlo giorno dopo giorno: con la messa in scena delle repliche,  che generano accorgimenti e che migliorano l’opera anche grazie all’ausilio del pubblico. Insomma una vera e propria soddisfazione.
Fino al 6 gennaio sarà al Teatro Augusteo di Napoli con lo spettacolo “Colpo di scena”, la sua nuova commedia ricca di invenzioni divertenti e personaggi irresistibili. Le piace recitare a Napoli?
Ogni volta che vengo nella mia città e propongo qualcosa di diverso mi accorgo che il pubblico si sarebbe aspettato altro. Bisogna invece maturare l’idea che un attore non segue un cliché fisso al quale si attiene ma può variare, calandosi nell’interpretazione di un personaggio in base al copione. Come in “Colpo di scena” dove in un classico commissariato di provincia, il vice questore Armando Piscitelli, da me interpretato, conduce il proprio lavoro con integerrimo rigore e con la consapevolezza di svolgere le mansioni di garante dell’ordine pubblico e difesa del cittadino. Un ruolo del tutto diverso da quelli rivestiti in passato. Dunque il pubblico deve imparare ad accettare nuove storie e nuovi personaggi.
Il suo segno zodiacale è Cancro. Si rispecchia nelle sue caratteristiche? E a prescindere da esso, com’è caratterialmente Buccirosso?
Non saprei replicare alla prima domanda anche perché non sono esperto di astrologia. Ritengo però che l’aspetto più in linea con il mio segno zodiacale sia di sicuro la sensibilità estrema, l’empatia con la sofferenza altrui e quella che sento dentro di me. Poi credo di essere un po’ lunatico, molto riservato e, ripeto, sensibile.
Mi parli del suo rapporto decennale col compianto Carlo Vanzina e Vincenzo Salemme.
Vanzina era una persona perbene, un vero signore. Lui sulla scena travolgeva tutto e tutti. I suoi tempi erano ridottissimi per cui ti dovevi necessariamente adattare altrimenti eri fuori. Faccio un esempio: se per girare delle scene un regista diciamo ‘normale’ impiega tre, quattro giorni, Carlo ne impiegava la metà. Una velocità che forse andava anche a discapito della qualità, ma era così. Grazie a lui ho maturato un’esperienza cinematografica enorme. Per quanto concerne Salemme, invece, abbiamo lavorato assieme e ci ritroveremo di sicuro nel cinema, ma non saprei dirle, invece, se ci ritroveremo a fare teatro insieme.
Molto spesso nei suoi personaggi lei rappresenta il classico cittadino medio. Perché?
Non credo sia vero. Lo è stato solo all’inizio dei miei lavori con Vincenzo Salemme. Poi quando scrivo i copioni adatto il personaggio in base al ruolo che deve rappresentare che non deve essere necessariamente lo stereotipo del cittadino medio.
E’ stato protagonista indiscusso sia del teatro che del cinema: cosa la appaga di più?
Indubbiamente il teatro. Attraverso il palcoscenico hai la possibilità di entrare in contatto diretto con il pubblico, cosa che il cinema non permette.
Ha ricevuto una serie di riconoscimenti, tra cui il David di Donatello, il Nastro d’argento e il Ciak d’oro. Cosa significano per lei?
Mi danno la consapevolezza di essere in grado di impegnarmi in lavori e ruoli importanti. I premi rinvigoriscono l’autostima e vanno oltre al mero significato che rappresentano simbolicamente. Se ti riconoscono delle qualità e ti premiano, vuol dire che quella è la strada giusta e va seguita senza avere dubbi.
Sul palco è solito improvvisare, magari andando oltre il copione, o non lo preferisce?
No, non amo recitare a braccio, preferisco attenermi a quanto c’è scritto sul copione anche per rispetto dei colleghi che ho di fronte. Ma se dimentico una battuta, me la cavo senza problemi.
Il “Miracolo di don Ciccillo” è un’opera teatrale che per lei ha riveste un particolare significato.
Sì, è vero. In effetti a quel lavoro ha preceduto una ‘tragedia’ per la società. Quando l’ho scritto non esisteva ancora Equitalia. Ho portato in scena situazioni che poi, ahinoi, si sarebbero verificate nel nostro Paese: parlo di suicidi di imprenditori per pendenze col fisco sottolineate dalle cartelle di Equitalia. Un’opera che mi sono proposto di riscrivere e ristrutturare prossimamente.

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