Casal di Principe, i Bardellino pronti a spargere sangue per la droga

CASAL DI PRINCIPE – Che Antonio Bardellino sia ancora vivo o che, quantomeno, non sia stato ucciso in Brasile nel 1988, come invece affermano i giudici nella sentenza Spartacus, è parte essenziale del mistero che la Direzione distrettuale antimafia di Napoli sta cercando di risolvere con la sua indagine coordinata dal pm Vincenzo Ranieri. Avrebbe potuto dare un decisivo contributo alla risoluzione di questo intrigo la collaborazione con la giustizia di Francesco Sandokan Schiavone, ritenuto l’istigatore della fine di Bardellino, ma, come noto, il dialogo che il capoclan, a marzo, aveva avviato con lo Stato, almeno per ora, è stato interrotto. Restando in tema Bardellino, però, si può già dire, con relativa sicurezza, che la sua cosca non è affatto scomparsa: nonostante l’allontanamento dall’Agro Aversano è viva. Alcune delle persone vicine al boss di San Cipriano d’Aversa hanno trasformato quello che doveva sembrare il luogo di esilio (cioè Formia), imposto loro dai vertici del clan dei Casalesi, nel quartier generale delle nuove attività delittuose da gestire. Tra questi business c’è quello della droga, un affare che, anche quando non è stato controllato direttamente dai Bardellino, avrebbe comunque permesso loro di ricavarne cospicue somme di denaro pretendendo una quota mensile da chi spacciava.

A fornire uno spaccato interessante su tale scenario è E.O., compagna di Giuseppe Basco, collaboratore di giustizia.
Basco, stando a quanto riferito dalla donna, aveva avviato un rapporto commerciale, riguardante la compravendita di droga, con dei soggetti originari di Arzano, che però avevano iniziato a smerciare stupefacenti a Formia e dintorni. “Pagavano un rateo mensile di 2mila euro ai Bardellino per poter spacciare – ha riferito E.O. – Grazie all’intervento di Giuseppe, però, non pagarono più questa tangente”.
A seguito di tale intervento, alcuni componenti della cosca Bardellino misero in atto una ritorsione proprio nei confronti di Basco. “Venne accoltellato alla testa e tuttora porta una cicatrice sul lato posteriore del cranio, in quanto non si fece curare per evitare segnalazioni all’autorità giudiziaria. L’aggressione avvenne nel giugno 2019”.

Insomma, i Bardellino risposero col sangue a chi si era permesso di intralciare i loro affari. L’attività investigativa che sta cercando di far luce sul fantasma di Antonio Bardellino, l’anno scorso ha portato a numerose perquisizioni tra l’Agro Aversano e il Basso Lazio eseguite dagli agenti della Dia e dalla guardia di finanza, misure determinate dal fatto che gli inquirenti hanno raccolto dichiarazioni, foto e intercettazioni in grado di supportare una teoria alternativa a quella di Spartacus: il mafioso di San Cipriano probabilmente non venne assassinato da Mario Iovine in Sudamerica.

Nell’ambito di quell’inchiesta, c’è anche un altro filone al vaglio della Dda di Napoli. Quale è il tema? Un patto criminale tra due nipoti di Antonio Bardellino e alcuni esponenti del clan dei Casalesi. Chi sono i protagonisti di questa presunta intesa criminale? Da un lato, Calisto e Gustavo Bardellino (a cui non viene contestato l’accoltellamento di Basco), rispettivamente figli di Ernesto e Silvio Bardellino, fratelli di Antonio; dall’altro, Vincenzo Di Caterino ‘o piattaro e suo zio, Romolo Corvino, rappresentanti della cosca Schiavone.

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