Caso camici: Fontana prosciolto, Procura ricorre: “Fece i suoi interessi durante la pandemia”

Foto LaPresse Milano, Italia Nella Foto: Attilio Fontana

MILANO – In piena pandemia, il governatore lombardo Attilio Fontana avrebbe “posposto l’interesse pubblico ad interessi privati convergenti” suoi e del cognato Andrea Dini, proprietario della Dama Spa, azienda tessile varesina di cui la moglie di Fontana, Roberta, detiene una quota del 10%. E lo avrebbe fatto caldeggiando un cambiamento nel contratto che legava Dama Spa alla centrale acquisti di Regione Lombardia, Aria Spa, per una fornitura da 513mila euro di 75mila camici e 7 mila Dpi. Ordine poi trasformato in una donazione di 50mila camici.

Anche per questo il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e i pm Paolo Filippini e Carlo Scalas hanno deciso di ricorrere in appello contro la sentenza di proscioglimento per Fontana, il cognato Dini, Pier Attilio Superti vicesegretario generale della Regione, Filippo Bongiovanni e Carmen Schweigl, rispettivamente ex dg e dirigente di Aria. L’accusa per tutti era frode in pubbliche forniture. Per loro il gup Chiara Valori il 13 maggio scorso aveva stabilito il non luogo a procedere “perché il fatto non sussiste”.

La prospettiva di affrontare il processo d’appello non ha turbato il governatore lombardo. “Non sono assolutamente sorpreso – ha detto Fontana – va benissimo e non ci sono problemi. Come ero sereno prima, sono sereno adesso”. Per i pm la lettura che il gup Valori dà dell’intera vicenda “è del tutto errata in fatto ed in diritto”. Quando a maggio 2020 la notizia della fornitura di camici affidata alla Dama Spa è diventata di dominio pubblico ed è emerso il “possibile conflitto di interesse” per Fontana, infatti, il governatore avrebbe favorito la trasformazione del contratto in una donazione. Una scelta che, per la procura, era dettata solamente dalla volontà di “tutelare l’immagine politica del presidente di Regione Lombardia”.

Nel ricorso di 33 pagine depositato oggi in Corte d’Appello i pm sottolineano come “l’istruttoria dibattimentale avrebbe dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il fatto estremamente grave dell’inadempimento della pubblica fornitura di dispositivi di protezione individuale”. Una mancanza che per i magistrati sarebbe stata volta “alla tutela degli interessi personali del governatore Fontana e di quelli economici della Dama spa riferibile alla moglie e al cognato” e che “ha avuto l’esito di posporre l’interesse pubblico ad interessi privati convergenti degli imputati Fontana e Dini”.

Se per il gup Valori la mancata consegna di 25mila camici non ha comportato un pregiudizio a Regione Lombardia, cha al contrario con la donazione ha risparmiato risorse importanti, per i pm il danno ci sarebbe comunque stato. “In quei giorni 25mila medici, infermieri e altri operatori sanitari hanno dovuto prestare il proprio servizio in assenza di un dispositivo di protezione individuale – si legge in un passaggio del ricorso – perché gli imputati avevano preferito anteporre la salvaguardia dell’immagine politica di Fontana al contrasto della diffusione del virus”.

‘Trasformare in donazione il precedente contratto di fornitura e ridimensionare il numero di camici da consegnare avrebbe anche consentito inoltre di “limitare i danni economici derivanti dalla complessiva operazione, dando la possibilità a Dama di reimmettere nel mercato i camici residui”. E anche Fontana, in questo modo, avrebbe potuto “limitare una propria perdita economica”. Comportamenti ritenuti illeciti dai pm, che hanno chiesto alla Corte d’appello di riesaminare le posizioni di tutti gli imputati.(LaPresse)

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