Centro, eterna illusione

Che il Rosatellum fosse un pessimo sistema elettorale lo sapevano tutti in Parlamento, anche quelli che, con un repentino cambio di opinione, lo votarono. Paradossalmente c’è da credere che costoro abbiano scelto di votarlo proprio perché, mischiando le carte tra maggioritario e proporzionale, quel meccanismo lasciava spazio sia ai fautori del primo che del secondo sistema elettorale. Una decisione pilatesca, insomma, che, come spesso accade, crea l’illusione di poter essere piegata ad entrambe le filosofie: quella che assegna un premio di maggioranza (per avere sufficienti margini per governare) e quella che rilancia le singole identità politiche rappresentate dalle liste di partito. Il risultato che ne viene fuori è cervellotico, pieno di arzigogoli tecnici per l’assegnazione dei seggi. I partiti sono costretti, infatti, ad alleanze per presunte affinità politiche nei collegi uninominali, ove al candidato di turno basta anche un solo voto in più per aggiudicarsi l’ambita poltrona; nel mentre le liste plurinominali – per l’assegnazione dei posti col proporzionale – sono espressione dei singoli partiti disaggregati. E’ quest’ultima prospettiva a creare l’illusione alle piccole formazioni di potersi “contare” sul proporzionale ed, in seguito, gettare la classica spada di Brenno sulla bilancia della futura maggioranza parlamentare ottenendo, giocoforza, un’aliquota di potere, in termini di incarichi, nella costituenda compagine di governo. L’altro motivo è quello di tenersi le mani libere nel dopo voto così da poter contrattare, in nome di un immancabile stato di necessità e, ovviamente, per il bene della nazione (!!), l’adesione alla maggioranza parlamentare di turno (il che significa la conquista della tanto agognata poltrona ministeriale). Maestri in questo gioco di specchi sembrano essere quei partiti che a stento raggiungono la soglia minima del 3% necessaria per entrare nel riparto dei seggi ed, in particolare, quelli più inclini alle capriole dialettiche per giustificare il cambio di fronte. Non siamo lontani dal vero se attribuiamo queste intenzioni a Matteo Renzi ed ai vari partitini di centro intestati a Gianfranco Rotondi, Lorenzo Cesa, Clemente Mastella ( in proprio con sue liste ) Giovanni Toti e Luigi Brugnaro. Il primo, l’ex sindaco di Firenze, tardivamente approdato al moderatismo dopo avere, per ignavia, rifiutato di creare un partito riformista che accogliesse quel 40% di elettori che votarono sì al suo referendum, oggi cerca i tappi dopo aver perso le botti. I secondi, che rappresentano una residuale e sedicente area moderata, aspirano a realizzare un nuovo centro politico per appropriarsi del ruolo e della funzione che fu della Democrazia Cristiana. Insomma: una vecchia e piuttosto logora ambizione di resuscitare lo scudo crociato, di cui fanno sfoggio abusivo, che mal nasconde ambizioni personali di politici ormai usurati e già protagonisti di molte e controverse stagioni. Sia ben chiaro: come capacità, esperienza e scaltrezza nei giochi di corridoio e nell’assemblaggio dei governi, Mastella, Cesa e Rotondi non hanno uguali nell’odierno panorama politico. Tuttavia sono ormai espressione di un mondo e di una mentalità e di una prassi politica scomparsa da tempo dalla circolazione, soppiantata dai nuovi strumenti di comunicazione, dalla sparizione della contrapposizione anti comunista e dalla fine storica del partito dei cattolici. La chiesa, d’altronde, soprattutto quella pauperista e terzomondista di Jorge Mario Bergoglio, guarda altrove ed alimenta una dottrina che è ben lontano dalla dottrina sociale del cattolicesimo, imbevuta com’è del socialismo e della teologia della liberazione. Ne consegue che, mancando sia la necessità storica della contrapposizione con l’ideologia atea marxista, sia il sostegno del Papato, vengono meno i presupposti stessi per la rifondazione della Dc. I protagonisti citati, che si affannano a reiterare tesi anacronistiche e nostalgiche, ben conoscono questo contesto ma fingono di non tenerne conto per il semplice motivo che, alcuni di essi, devono sbarcare il lunario non avendo né arte né parte. Ripresentare, sotto varie forme, la “Libertas” è un atto vuoto ed insensato, per certi versi blasfemo nei confronti di un partito che dovrebbe essere consegnato agli annali della storia politica del Paese. Ma costoro inseguono la riconferma di un ruolo più che il rilancio di un’identità, la cui portata peraltro viene accollata a soggetti di cultura politica non all’altezza rispetto ai grandi leader democristiani del passato. Per quanto grossi possano essere stati gli errori del passato commessi dalla “Balena Bianca”, essi, agli occhi della Storia, sono di gran lunghi inferiori rispetto ai meriti che spettano a quel movimento politico. Di Sturzo, De Gasperi, Moro, Fanfani, De Mita e di tanti altri ben meritevoli oggi non c’è traccia e non sarà certo l’eterna illusione di un centro a portare dei nani nel ruolo di giganti.

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