GRAZZANISE – La partecipazione al clan dei Casalesi (con il ruolo di capozona del Basso Volturno), le estorsioni, l’assassinio di Giovanni Parente, commesso a Santa Maria La Fossa nel 1996, e l’agguato che portò alla morte Antonio Cantiello e Domenico Florio: azioni feroci che ha commesso (anche) Antonio Mezzero. Reati che gli sono costati una condanna (complessiva) a 55 anni di carcere. Ma da martedì il boss, ora 60enne, è a casa: dopo 23 anni di prigione (quasi 24) è tornato nella sua Brezza. Grazie al ‘criterio moderatore’ (che regola i limiti degli aumenti delle pene principali incassate) e alla liberazione anticipata, chiesta dal suo legale, l’avvocato Alberto Martucci, è riuscito a mettersi la cella alle spalle scontando meno della metà del tempo di quanto, sommando verdetto su verdetto, avrebbe dovuto affrontare da detenuto. Tutto secondo legge. Un diritto che gli spettava (non avendo mai ricevuto un ergastolo).
Regole a parte (che possono essere ritenute giuste o meno), adesso resta il timore che il suo rientro nei Mazzoni possa innescare l’inizio di una nuova stagione mafiosa, resta il timore che la sua figura, criminalmente carismatica, possa attrarre e riorganizzare nuove leve del clan. Ma bisogna dar voce pure al coraggio, a quel sentimento che non teme di sperare che Mezzero si sia pentito (anche solo nell’anima) delle vite che ha spezzato e che ha contribuito a spezzare, del terrore che ha generato e che ha contribuito a generare, delle opportunità di crescita che con la violenza della mafia ha negato e contribuito a negare al territorio dove vive con la sua famiglia.
Mezzero storicamente va considerato un uomo degli Schiavone, ma a dimostrare lo spessore mafioso che lo caratterizza c’è la sua capacità di aver attivato un’ottima relazione pure con il padrino Michele Zagaria (che con il territorio dei Mazzoni, fino al 2009, aveva poco a che fare). Un’eterogeneità di rapporti criminali che lo rende, adesso, con tutti i boss di primo livello in cella, una figura da monitorare con costanza.
Il boss di Brezza (in libertà vigilata) ha ancora un conto aperto con la giustizia: l’omicidio di Stefano Izzo. Secondo la Procura distrettuale avrebbe organizzato il delitto, nel 1991, con Cipriano D’Alessandro, Enrico Martinelli e Nicola Panaro. Per tale vicenda è sotto indagine senza misure cautelari: un’attività investigativa, condotta dai carabinieri, che non è stata ancora dichiarata conclusa dagli inquirenti e che potrebbe sfociare, a breve, in un nuovo processo.
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