MILANO – I primi casi di Coronavirus in Lombardia, i 55 italiani usciti dalla struttura militare della Cecchignola a Roma. Diventa sempre più reale la percezione dell’epidemia in Italia. Giuseppe Tipaldo, ricercatore di sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Torino e autore di diversi libri, analizza il tema dal punto di vista della società con LaPresse.
DOMANDA. Ci troviamo in una situazione di psicosi, o comunque la vede come un’evenienza possibile nel prossimo futuro?
RISPOSTA. Al momento non parlerei di psicosi anche se le notizie, con le coperture allarmistiche e gridate, contribuiscono. Gli ingredienti per farla esplodere ci sono, ma non perché la popolazione sia impazzita. La parola allarme non coincide con la parola tragedia o psicosi, ovvero qualcosa che fa perdere completamente il senno alle persone. Una questione come il razzismo, caratteristica che in parte della popolazione esiste, può essere che emerga perché potenziata da una situazione allarmistica. Al momento la maggior parte delle persone, benché influenzata, non sta riempiendo i pronto soccorsi chiedendo di fare dei test sul Coronavirus e, nel caso dovesse succedere, sarebbe preoccupante perché il sistema collasserebbe.
D. Il caso del 38enne nel Lodigiano che, nonostante qualche sintomo influenzale e una cena con un amico rientrato dalla Cina non aveva fatto nessun controllo, è una reazione anomala?
R. Bisognerebbe approfondire cos’è successo, capire se questa persona avesse già i sintomi prima o se siano comparsi quando è entrato in contatto con quest’altra persona stata in Cina. Il fatto che il 38enne non sia corso immediatamente all’ospedale non solo non è stupido ma anche in linea con le direttive che l’Oms ha dato. Nello specifico, siccome tutti i coronavirus, non solo il Covid-19, si manifestano con sintomi di influenza, l’Oms suggerisce, se la situazione non peggiora, di stare in casa a letto, come una comune influenza. Tutto questo non vale nel momento in cui le persone tornano dalla Cina o entrano in contatto con persone tornate di recente.
D. Come si combatte l’allarmismo?
R. La ricetta magica non c’è, ma ci sono degli ingredienti che possono contribuire a rendere la comunicazione medico scientifica meno tossica. Il primo è che non bisogna dare credito a nulla che non sia fonte ufficiale. Il secondo è più complesso: il sistema informativo, soprattuto in Italia, è in crisi da anni per un modello di business non sostenibile. Questo contesto turbolento nel media system si riverbera nella qualità delle notizie che vengono diffuse. Tutta la società patisce una narrazione informativa sulla scienza e la medicina costruita in maniera approssimativa.
Di Martina Coppola